sabato 11 maggio 2013

Lettera aperta a Oliviero Toscani e...

E’ del 7 maggio la notizia delle dichiarazioni di Oliviero Toscani che hanno indignato il popolo del web e non solo… Cos’ha detto Toscani? All’agenzia Adnkronos ha dichiarato:

“Le donne devono volersi bene per quello che sono. Devono essere più sobrie, diano importanza all'essere più che al sembrare, solo così si possono evitare altri casi di femminicidio- spiega il fotografo dall’occhiale rosso- Serve un ruolo più serio delle donne. La smettano di dover sempre sedurre, altrimenti finiranno per sedurre solo maniaci e i violenti. Le donne non si devono truccare, mettersi il rossetto, devono volersi bene per quello che sono“. E poi: “Ormai i tacchi sono inversamente proporzionali all’intelligenza. È un vero disastro. Sono tutte rifatte, con labbra che sembrano canotti e nasini tutti uguali. Ma cosa è successo? Questo voler sembrare, apparire, alla fine conduce la donna a essere considerata un oggetto e non più un’entità intelligente. Se avessi una moglie come quelle donne lì sarei molto in crisi”.

Come la vogliamo chiamare questa dichiarazione? Una “provocazione”?. Se così fosse, alla luce degli ultimi casi di cronaca, una provocazione del genere sarebbe non solo del tutto fuori luogo ma avrebbe un’aggravante: queste parole sono pronunciate da un professionista che sulle provocazioni vere, serie, d’impatto, ha costruito la sua carriera di grande fotografo e con successo. A me fanno rabbia, m’indignano e lasciano l’amaro in bocca perché possono essere prese come esempio, possono ottenere un seguito da chi vuole emulare una personalità di successo…e poi scusate, ma non posso non pensare che certe frasi dette da un artista che grazie alle donne (nel bene e nel male) ha costruito la sua carriera, siano quantomeno ipocrite… Si sa, la pubblicità funziona quando non è esibizione gratuita del prodotto ma quando fa parlare di se, quando accende gli animi, quando scatena le penne degli opinionisti e degli intellettuali. E Toscani ci riesce sempre bene a quanto pare, ma quale prodotto doveva pubblicizzare stavolta? Forse se stesso?
La pubblicità dei blue jeans Jesus Bonn che fece scandalo e  che segnò l'inizio della carriera di Toscani
Sull’intelligenza, invece, di certe affermazioni di Toscani sulle donne che si truccano troppo e attirano i maniaci e violenti, avrebbero qualcosa da ridire pure alcune associazioni, tipo il Telefono rosa. «Le provocazioni di Oliviero Toscani sono vecchie, insulse e hanno stancato» dice all'Adnkronos Gabriella Moscatelli, presidente dell'associazione. «Secondo lui per non essere violentate o uccise dobbiamo metterci tutte il burqua in modo da non provocare gli uomini?».

La Moscatelli continua poi augurandosi che Toscani si sia sbagliato a parlare e che accortosi dell’abbaglio si dia il disturbo di ritrattare o rettificare le sue affermazioni, ovviamente lo vorremmo molto anche noi caro signor Oliviero anche se siamo arrivati già all’11 di maggio e nessuna notizia mi è arrivata alle orecchie di sue scuse o nuove dichiarazioni sull’argomento. E’ chiaro che continuare a fare affermazioni di questo tipo vuol dire legittimare il caso di stupro o di violenza o di omicidio su donne che in discoteca mettono la mini, rientrano con il taxi perché non sono sobrie, passeggiano sole senza scorta e con i tacchi, ma come è sbagliato generalizzare dicendo che tutte le donne con le ballerine e senza trucco sono delle sante, è sbagliato anche dire che tutte le donne con il tacco e il rossetto sono istigatrici di violenza. Altrimenti, caro Toscani, si ottiene l’effetto contrario: aumentare la cultura dell’ignoranza secondo la quale gambe, rossetto, trucco delineano il profilo di “donna di facili costumi”. E mi domando davvero se questo sì, non sia, indirettamente istigazione alla violenza…E’ pur vero che l’Italia sta regredendo ma mica vorremmo tornare ai tempi delle caverne? Caro Oliviero Toscani la invito cordialmente a leggere queste poche parole che secondo me riassumono il pensiero e l’indignazione di molte persone, lo sfogo di una donna nel suo aggiornamento di stato fb che mi ha molto colpito, il suo nome è Angela Rita Iolli di Roma e, nella sua “lettera aperta a Oliviero Toscani”, scrive così:


"Caro Oliviero Toscani, da donna a fotografo ti regalo un mio scatto. Stampatelo e ripeti con me che un abito scollato, un rossetto, i tacchi non autorizzano nessuno a stuprarmi, bruciarmi, rovinarmi con l'acido, uccidermi, picchiarmi. E mi meraviglio che un uomo come te, che ha condotto battaglie con il suo strumento più intelligente, oggi polverizzi anni di emancipazione. Che stupidamente fornisca l'alibi ad omuncoli che per anni si sono giustificati con il pretesto che una provocazione renda l'uomo ladro. In questo caso assassino o stupratore. No, la questione è molto più seria, meno banale e tu ci devi chiedere scusa. Ora. E devi chiedere scusa alle ragazzine, alle bambine che nemmeno sanno cosa siano i tacchi eppure sono violentate o uccise. E devi chiedere scusa alla donna che incinta si stava recando in ospedale per un controllo e le hanno gettato l'acido. E devi chiedere scusa anche a chi, una sera, esce con i tacchi e il rossetto e poi viene raggiunta da vigliacchi folli, che abusano togliendo libertà a lei e a tutte noi. Irrimediabilmente. Io pretendo le tue scuse. Perchè ogni giorno che indosserò i tacchi o il rossetto, ripenserò alle tue parole e avrò paura, ma non del mondo, soltanto di uomini e parole simili. Perchè caro Oliviero hai proprio sbagliato a pronunciare quelle parole e ogni tacco di donna oggi avrebbe dovuto prenderti a calci!”

Ringrazio a nome di tutte le donne morte, ferite, violentate e vessate psicologicamente, sessualmente, economicamente ecc…Angela Rita anche se, confesso, che i miei tacchi non li sporcherei per questo individuo al limite della misoginia. Sempre martedì 7 maggio Oliviero Toscani è arrivato a San Felice sul Panaro (Modena) dove ha iniziato a fotografare i protagonisti di tante tristi e drammatiche storie legate al terremoto del maggio scorso e rubarne sguardi, delusione ed emozione. I frutti del suo lavoro saranno esposti durante Fotoincontri, la manifestazione in programma dal 24 al 26 maggio a un anno dalle scosse.

"Voglio catturare l'anima, lo spirito, ciò che siamo dentro, chi si accetta è sempre fotogenico, per essere semplici bisogna piacersi e rispettarsi; ogni essere umano è una opera d’arte, nessuno è brutto; le donne oggi sono maschere di se stesse, la cosa più bella è la sobrietà; chi vuole sedurre non ha personalità".
Ha detto Toscani ai cittadini che passavano davanti al suo obiettivo. "I dodici scatti più belli saranno scelti dal maestro Toscani - spiega il presidente di Photoclub Eyes Luca Monelli - per diventare manifesti da affiggere sui muri del paese in occasione della manifestazione fotografica realizzata in collaborazione col Comune con la finalità di sostenere la rinascita delle zone terremotate". Tutto molto bello e d’altra parte non è la prima volta che Toscani prende a cuore temi d’attualità e sembrerebbe essere quasi magnanimo, ricordate la sua crociata per l’anoressia? Ma anche qui ritroviamo l’ennesima frecciata alle donne e se devo proprio dirla tutta questo finto buonismo non mi convince…Sarà la sua creatività da fotoreporter che gli fa fare affermazioni eccentriche? Il signor Toscani è vagamente misogino o vorrebbe solo sembrare un intelligente anticonformista? E sarà ancora la creatività quella che gli ha fatto dire, davanti agli splendidi glutei di una modella immortalata dal suo collega fotografo Terry Richardson per una pubblicità della casa di moda Silvian Heach: 
«Le prime a fare schifo sono le donne. Tutte troie. Preferiscono puntare sulla bellezza, anziché sull'intelligenza. Povere donne. Per fortuna non ho mai avuto mogli italiane. Culi bassi, gambe corte e ascelle pelose. Mi state sulle palle». 
Ma che gli avranno fatto mai le donne a Oliviero Toscani? E le italiane poi? La sua crociata misogina non ha risparmiato neppure le madri. In un'intervista a Donna Moderna (uno di quei giornali femminili di cui pensa il peggio possibile: «Giornali incostituzionali sin dal genere, diretto da donne, ovvio. Che ha in prima strilli come Chirurgia estetica, sesso, orgasmo, diete»), spiegò a modo suo la violenza degli uomini verso le donne:

«Nella stragrande maggioranza dei casi è colpa delle madri che hanno avuto. E vorrei che le madri ne fossero consapevoli: tocca soprattutto a loro educare i figli, crescerli nel segno del rispetto verso l’altro sesso e il resto del mondo». Insomma, tutta colpa delle donne, narcise, vanesie, ossessionate dal look e dalla chirurgia estetica, e come se non bastasse pessime madri. Toscani la riassume così: «Siete bestie da sesso, ecco cosa siete».

Ecco Toscani ci ha fatto un bel quadretto…Cosa andiamo cercando? In un momento in cui non si parla altro che di femminicidio? In Italia sono state 124 le donne uccise nel 2012, più di una donna uccisa ogni due giorni e 47 ferite nel solo 2012, 37 invece le donne uccise nei primi 5 mesi del 2013 , una lista che si allunga tristemente ogni giorno. Una delle ultime era delle mie zone di nascita, quando ho sentito che, nei luoghi dove andavo in bicicletta solo qualche anno fa, è stata trovata accoltellata questa ragazza ho avuto un moto di rabbia mista a impotenza e a paura…cosa accade alla nostra società? L’87 per cento delle donne che hanno chiesto aiuto a Telefono Rosa hanno subito violenza in famiglia o da quelli che potevano ritenere fossero “i loro cari”, secondo l’indagine dell’associazione relativa al 2011. “Non c’è una risposta adeguata a questa crescita inaudita di dati relativi alla violenza sulle donne” dicono a Telefono Rosa ricordando che i soldi del fondo antiviolenza sono stati ridotti. Eppure si moltiplicano le iniziative atte a sensibilizzare sul tema del femminicidio, lo scorso anno in luglio in Campania è stata addirittura approvata una legge regionale contro la violenza sulle donne, nascono nuove iniziative come il flash mob intitolato "Break the Chain"del 14 febbraio scorso e pagine fb contro il femmicidio come “Femminicidio:mettici la faccia” Campagna contro la violenza sulle donne promossa dalla Rete degli Studenti Medi e l'Unione degli Universitari. La campagna consiste nel postare una propria foto accompagnata dallo slogan:
 “stop femminicidio #iocimettolafaccia" 
a questa campagna hanno aderito personaggi noti del mondo dello spettacolo e della politica, e moltissima gente comune, anche io ovviamente ci ho messo e ci metto di nuovo la mia di faccia  e invito a farlo anche a voi…e allo stesso tempo mi chiedo: servirà a qualcosa?


Servirà a far comprendere a persone come Oliviero Toscani che il problema esiste e che è necessario prendere provvedimenti seri sia in Italia che all’estero? Lo vede caro Olivieri che nella foto ho rossetto e trucco e persino una corona di fiori? Riesce a togliere i suoi paraocchi e a guardare oltre l'apparenza? Quella corona è per tutte le donne che quando gli è stata usata violenza, quando sono state uccise per mano di un uomo non erano nè truccate nè discinte ma conducevano la loro vita ignare pure di cosa fosse la parola femmincidio.Quella corona è per tutte quelle donne che truccate e con i tacchi vogliono continuare a esercitare la libertà di girare senza pericolo per le strade, che vogliono esercitare il loro diritto ad essere se stesse!
Vi siete resi conto di cosa sta accadendo anche in India? Gli uomini che percezione hanno di questo incrudimento di violenza verso le donne? Nella stessa pagina fb ma anche altrove nel web e per la strada leggo e ascolto commenti piccati di uomini che non accettano il termine femminicidio qualcuno ad esempio scrive:

”Non sono misogeno, non odiatemi. Io odio chi odia, e odio chi uccide. Ma il femminicidio NON ESISTE. Esiste l'omicidio, ossia quando una persona (donna o uomo) viene uccisa.“
 Un altro ancora scrive in un commento a un articolo:
” […]Femminicidio? ” Chiamarlo semplicemente assassinio, no? Sul fatto dell'uso delle parole, bhe, direi che col "femminicidio" non ha proprio nulla a che fare. La classica "perla" femminista che tende a mettere su un piano superiore la donna rispetto all'uomo, che anche se muore, resta sempre una vittima di omicidio e la donna quella del femminicidio. Veramente non sopporto la violenza, ma nemmeno l'ipocrisia di chi la strumentalizza a scopi politici.”
Che poi potrei anche rispondere al signore della seconda affermazione di cui sopra e a tutti quelli che la pensassero come lui che, semmai, una parola davvero sessista, dovrebbe essere omicidio, se usata nel caso delle donne…  Leggiamolo da Etimo direttamente: OMICIDIO da homo (uomo) e caedes (uccisione), uccisione dell’uomo per opera dell’uomo, quindi…




Scherzi a parte, ma insomma, ci rendiamo conto che non possiamo neppure usare un nuovo termine per individuare un fenomeno criminale della società attuale senza essere etichettate come femministe? E che dovremmo accettare il fatto che una donna che viene uccisa deve essere necessariamente inserita per par condicio nella definizione di omicidio, cioè "uccisione di uomo"? Non è un assurdo concettuale? E chi fa queste affermazioni conosce il significato del termine femminicidio e si rende conto delle cause che hanno prodotto l'uso di questo neologismo? Cosa c’entra la politica con una realtà incontrovertibile di tendenza alla violenza contro le donne? Perché ci si è presi il disturbo di creare addirittura una nuova parola, da dove viene questo termine e quando è accaduto che il suo uso è divenuto popolare e perchè?

Io ho voluto dare una risposta a tutte queste domande e ho inziato a fare ricerche e mi sono imbattuta nel bellissimo articolo di Barbara Spinelli sul Corriere della Sera blog che spiega l’origine politica, storica e sociale dell’uso di questo termine e la storia del femminicidio dalla sua comparsa come termine d’uso in larga scala. Ne trascrivo solo qualche riga per capire cos’è il Femminicidio, ma v'invito a leggerlo tutto.

 Il termine femminicidio, o femicidio, si riferisce alle violenze che vengono perpetrate dagli uomini ai danni delle donne in quanto tali, ossia in quanto appartenenti al genere femminile. Il femminicidio comprende inoltre tutti quei casi di omicidio in cui una donna viene uccisa da un uomo per motivi relativi alla sua identità di genere.. Estensivamente il termine femmincidio indica tutte le forme di violenza di genere contro le donne in ambito pubblico e privato. In lingua inglese il termine femicide (femicidio) veniva usato già nel 1801 in Inghilterra per indicare "l'uccisione di una donna"[1][2]. Il termine è stato utilizzato dalla criminologa Diana Russell nel 1992, nel libro scritto insieme a Jill Radford Femicide: The Politics of woman killing. La Russell identificò nel femmicidio una categoria criminologica vera e propria: una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna «perché donna», in cui cioè la violenza è l'esito di pratiche misogine.
“Tutte le società patriarcali hanno usato –e continuano a usare- il femminicidio come forma di punizione e controllo sociale sulle donne” afferma la Russell.”
Un anno dopo, nel 1993, l'antropologa messicana Marcela Lagarde utilizza il termine femminicidio per comprendere:
« La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine - maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria o anche istituzionale - che comportano l’impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia »

(Marcela Lagarde[3][4])

Il femminicidio secondo Marcela Lagarde è un problema strutturale, che va aldilà degli omicidi delle donne, riguarda tutte le forme di discriminazione e violenza di genere che sono in grado di annullare la donna nella sua identità e libertà non soltanto fisicamente, ma anche nella loro dimensione psicologica, nella socialità, nella partecipazione alla vita pubblica. Pensiamo a quelle donne che subiscono per anni molestie sessuali sul lavoro, o violenza psicologica dal proprio compagno, e alla difficoltà, una volta trovata la forza di uscire da quelle situazioni, di ricostruirsi una vita, di riappropriarsi di sé.

Il termine è stato ripreso e diffuso da numerosi studi di sociologia, antropologia, criminologia e utilizzato negli appelli internazionali lanciati dalle madri delle ragazze uccise a Ciudad Juárez. "Nuestras Hijas de regreso a casa" è il movimento cofondato fondato da Marisela Escobedo Ruiz, uccisa nel gennaio 2010 in Messico nel corso della sua protesta per ottenere la verità sulla morte della figlia. A un anno di distanza Norma Andrade, altra fondatrice di Nuestra Hijas, subisce un attentato. È proprio dall'analisi dei crimini di massa compiuti contro le donne che la Lagarde propone la sua definizione. Questo neologismo è salito alla ribalta delle cronache internazionali anche grazie al film Bordertown, in cui si racconta proprio dei fatti di Ciudad Juarez, città al confine tra Messico e Stati Uniti, dove dal 1992 più di 4.500 giovani donne sono scomparse e più di 650 stuprate, torturate e poi uccise ed abbandonate ai margini del deserto, il tutto nel disinteresse delle Istituzioni, con complicità tra politica e forze dell’ordine corrotte e criminalità organizzata, ed attraverso la possibilità di insabbiamento delle indagini esacerbata dalla cultura machista dominante e da leggi che, ad esempio, non prevedevano lo stupro coniugale come reato e prevedevano la non punibilità nei confronti dello stupratore che avesse sposato la donna violata...La storia continua e (pochi la conoscono)sia nella realtà storica delle vicende di Ciudad Juàrez sia nell'articolo, sia nel libro in cui Barbara Spinelli ripercorre le vicende legate al Femminicidio. Non la riporto qui ma v'invito a leggerla per farvi la vostra idea dell'argomento che stiamo trattando, per approfondire un tema di attualità che ci vede coinvolti come diretti interessati perchè la violenza non risparmia nessuno, non uomini, non donne, non bambini e va sempre perseguita!
"Femminicidio è un termine che a livello internazionale ha fatto storia, sta facendo storia, sta segnando una rivoluzione dal basso...a me non va di negare questa storia, di autocensurarmi e limitarmi, di chiedere agli uomini di essere più gentili, non voglio solo dire sono stati loro, voglio fare molto di più, voglio smascherare tutte le forme attraverso cui il potere patriarcale mi opprime e mi limita come donna, mi impedisce di autodeterminarmi e fruire dei miei diritti, e voglio lottare per ottenerli ".
(Barbara Spinelli)

"Che bisogno c’era di un nome nuovo? Sempre di omicidi si trattava.Purtroppo non avevo fonti di informazione italiane su questo strano neologismo, che già alcune associazioni di donne iniziavano a usare (UDI, Donne in nero, Casa delle donne per non subire violenza di Bologna) così decisi di andare a fondo, documentarmi, capire. Rimasi così soggiogata dalla storia celata dietro questa parola, che decisi di raccontarla in un libro , perché tutti potessero conoscere la tenacia delle donne che l’avevano scritta ed i risultati che avevano ottenuto."
Così Barbara Spinelli racconta di come sia nato il suo libro :

Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale


Barbara Spinelli, praticante avvocato, collabora con i Giuristi Democratici a livello nazionale ed internazionale e con la Rete Femminista. Le sue ricerche riguardano soprattutto le politiche di contrasto alla violenza e alle discriminazioni di genere e il femminicidio nel mondo. Oltre a numerosi articoli per quotidiani e testate specialistiche, sul tema ha redatto per i Giuristi Democratici il dossier "Violenza sulle donne: parliamo di femminicidio. Spunti di riflessione per affrontare a livello globale il problema della violenza sulle donne con una prospettiva di genere".

Perché un libro sul femminicidio? Per raccontare le origini e la storia di questo recentissimo neologismo, ormai sempre più diffuso anche nel nostro paese con riferimento alla strage delle donne di Ciudad Juarez, in Messico. L'autrice documenta la nascita del termine femminicidio, antecedente a tali fatti, e spiega come esso sia stato adottato dalle donne centroamericane per veder riconosciuti e rispettati i propri diritti umani, in particolare quello ad una vita libera da qualsiasi forma di violenza. Femminicidio è la violenza fisica, psicologica, economica, istituzionale, rivolta contro la donna "in quanto donna", perché non rispetta il ruolo sociale impostole. L'autrice illustra, inoltre, le tesi elaborate in Centroamerica sulle cause del femminicidio ed espone i meccanismi di indagine e di denuncia, i dati risultanti dalle ricerche locali, le politiche sviluppate sulla loro base, la conseguente richiesta di riconoscimento giuridico del femminicidio come specifico reato e come crimine contro l'umanità.
Nel volume si mette in luce l'alleanza tra donne e Ong a tutela dei diritti umani per inchiodare lo stato messicano alle sue responsabilità per i massacri di donne a Ciudad Juarez. Ora, grazie alla copertura mediatica del caso messicano, il femminicidio non rappresenta più solo una specificità centroamericana, ma ha assunto una valenza generale, uscendo dall'ambito importante, ma ristretto, della descrizione di un fenomeno locale per costruirsi come concetto giuridico, di rilevanza interna e internazionale.
Il percorso di riconoscimento del femminicidio come crimine contro l'umanità, ora preso in considerazione anche a livello europeo, ha una valenza universale: consente di individuare il filo rosso che segna, a livello globale, la matrice comune di ogni forma di violenza e discriminazione contro le donne, ovvero la mancata considerazione della dignità delle stesse come persone. Non rispettare i diritti delle donne lede l'umanità tutta: tale affermazione pone le basi per la costruzione di relazioni sociali diverse, incentrate sulla Persona in quanto tale e sul rispetto reciproco a prescindere da ogni forma di diversità, sia essa sessuale, etnica, giuridica o ideologica.
"L'obiettivo di quante parlano di femicidio (tutte le uccisioni di donne in quanto donne) e di femminicidio (indica tutte le forme di violenza di genere contro le donne in ambito pubblico e privato) non è solo di denuncia, bensì di rendere pubblico un problema nei secoli considerato privato, quello della violenza esercitata dagli uomini sulle donne e farne elemento chiave del dibattito politico".
Il femminicidio e la violenza fisica sono spesso legate allo stupro. Si sa che lo stupro è considerato come tattica di guerra ed è un crimine di guerra, nei paesi cosiddetti civilizzati non si hanno fenomeni dilaganti ma circoscritti seppur crudi e gravissimi, ma in alcuni paesi questa piaga che porta anche alla morte è impressionante per la sua diffusione e attuazione. Il reato di stupro è una tattica di guerra atta a umiliare, dominare, instillare paura, cacciare e/o obbligare a cambiare casa i membri di una comunità o di un gruppo etnico. In un’Africa dilaniata dalle guerre civili e dalle lotte fratricide, l’uso sistematico delle violenze sessuali è uno dei metodi bellici più utilizzati in questi conflitti ataviche ed estenuanti, all’interno delle quali a farne le spese è soprattutto una popolazione civile già al limite delle condizioni economiche, sanitarie e di sopravvivenza. Ce lo dimostra anche l’esperienza della delegazione di tre eurodeputati, guidata da Jürgen Schröder del partito popolare europeo e democratici europei (PPE-DE), recatasi l’1 aprile 2008 nella Repubblica Democratica del Congo per sette giorni. In questo stato, pare che la situazione sia migliorata dopo la firma degli accordi di pace siglata nel gennaio scorso. "Lo stupro è stato uno strumento di guerra, ma dopo gli accordi di pace la situazione è cambiata", dichiara l'eurodeputato tedesco. "Ora lo stupro è un segno di ordinaria criminalità perpetrato per lo più da fazioni ribelli, dai componenti dell'esercito regolare e anche dalla popolazione civile".
Secondo le cifre del piano d’azione umanitario del 2008, gli stupri perpetrati nel 2007 in Congo ammontano a 30.000. Drammatica anche la situazione in Sudan, dove è alta l’incidenza di stupri contro donne ed adolescenti: da ottobre 2004 a febbraio 2005, sono state curate quasi 500 vittime di violenze in numerose località del Darfur occidentale e meridionale, il 28% delle quali dichiarano di essere state violentate da più persone e ripetutamente. Appare chiaro che il numero di denunce non corrisponda al numero effettivo delle violenze. Le donne hanno raccontato di essere state percosse con bastoni, fruste o asce prima, durante e dopo lo stupro.Le vittime di stupri spesso non vengono curate, ma emarginate, stigmatizzate, a volte persino messe in prigione. Non bisogna dimenticare quanto le violenze sessuali siano un fattore determinante per la diffusione di malattie, quali l’HIV . In questo panorama non è solo il continente africano ad essere teatro di violenze: in Kosovo ad esempio, dove è stata istituita la Kosovo Women’s Initiative atta a diminuire la distinzione tra sessi attraverso la formazione professionale e la scolarizzazione, durante la guerra sono state violentate 20mila donne, in maggioranza musulmane. Il documento dei Quindici, approvato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, chiede la cessazione delle violenze sessuali contro i civili nelle zone di guerra, minacciando i colpevoli di condurli di fronte alla Corte Penale Internazionale de l’Aja. Al dibattito hanno preso parte sette donne ministro.La relatrice del rapporto, Radhika Coomaraswamy, ha riferito di abusi sessuali di “brutalità inimmaginabile”, illustrando una mappa delle violenze che spazia dai Balcani all'Africa Australe, dal Sud Est Asiatico all'America latina. Tra gli episodi documentati ce n'è uno che riguarda il Kosovo e risale al 1999 (ci sono anche i fatti addebitati ai militari italiani in missione in Somalia negli anni tra il 1992 e il 1995). 
Definire lo stupro come reato sessuale, tuttavia, non è sufficiente: bisogna appropriarsi della cultura di molti popoli, all’interno dei quali la donna è ancora vista in una posizione inferiore agli occhi dell’uomo; bisogna capire come la violenza sessuale sia prima la violazione di un diritto individuale, e in quanto tale dovrebbe essere inclusa nel panorama generale dei diritti dell’uomo. Un sistema giuridico appropriato e una seria rivalutazione del ruolo della donna devono essere il contesto basilare in cui far valere il principio dell’inviolabilità della persona.

“Per più di quindici anni” scriveva Betty Friedan “non si è fatta parola di questo turbamento nelle rubriche, nei libri, negli articoli scritti sulle donne e per le donne da esperti che sostenevano che il compito di queste ultime era di cercare la realizzazione della loro personalità come mogli e madri”. Mogli e madri, non si faceva parola del lavoro come valore, negli anni Cinquanta, tranne che per gli uomini. Le donne, quindi, “impararono a compatire quelle donne nevrotiche, poco femminili e infelici che volevano fare le poetesse, le scienziate o essere presidentesse di qualche associazione. Appresero che le donne veramente femminili non desiderano perseguire una professione, ricevere un’istruzione superiore, esercitare i loro diritti politici: che cioè non desiderano quell’indipendenza e quelle prospettive per cui le femministe d’altri tempi avevano combattuto. Qualche donna tra i quaranta e i cinquant’anni si ricordava ancora di aver rinunciato con rammarico, a quei sogni, ma le donne giovani, nella grande maggioranza, non ci pensavano nemmeno. Migliaia di esperti plaudivano alla loro femminilità, al loro adattamento, alla loro nuova maturità. Non si chiedeva loro che di dedicare la vita, sin dall’infanzia, a trovare un marito e a partorire figli”.
Queste parole hanno segnato un’epoca. L'effetto prodotto dal libro della Friedan, La mistica della femminilità,uscito nel 1963 furono la miccia che fece scaturire la “seconda ondata” femminista degli anni Sessanta. La Friedan per certi versi fu una visionaria perchè anticipò i tempi. Io penso che anche oggi stiamo vivendo gli esordi di una sorta di rivoluzione femminista, lenta e occulta, ma paziente, perchè le donne escono allo scoperto, non vogliono più subire violenze e umiliazioni, e forse si stanno facendo coraggio nel voler affrontare la loro vita riappropiandosene senza condizioni. Siamo ancora lontani da veder riconosciuti i diritti primari di cui ogni persona indipendentemente dal sesso dovrebbe poter godere e noi donne siamo ancora lontane dal vederci riconosciuto l'appoggio incondizionato da parte degli uomini nel tutelare i nostri diritti. Questa contrapposizione crea già un conflitto e le donne e gli uomini stanno alzando barricate anzichè costruire ponti, la rivoluzione più grande domani sarà quella di vedere uomini e donne uniti contro la violenza e non divisi da neologismi, definizioni o lotte intestine e ideologiche. 
Caro Oliviero Toscani lei è così antiquato da non vedere nè col suo obbiettivo nè con i suoi stessi occhi i prodromi di una rivoluzione che è già in atto e che vede le donne impegnate a mobilitare tutte le loro risorse nell'affermazione della loro riacquisita individualità e nella sensibilizzazione di chi vuol mettersi i paraocchi per non dover vedere oltre il rossetto e i tacchi. E' vero le donne debbono piacersi anche senza tacchi e senza rossetto o botulino, soprattutto per venire meno agli stereotipi di uomini che per anni le hanno desiderate come bambole gonfiabili, ma io dico che le donne prima di tutto debbono piacersi anche coi tacchi o col rossetto, anche con la voglia di liberarsi dalle imposizioni maschili, anche con quell'istinto rivoluzionario che vuole emanciparle da una cultura sessista che le vede solo nel suo potenziale erotico, sessuale, o di sfruttamento lavorativo, commerciale. Io vedo milioni di donne, con rossetto e senza, coi tacchi o con le ballerine, impegnate, intelligenti, che portano avanti famiglie, aziende, lavorano dentro e fuori casa, spesso in questo momento di crisi sono le uniche a mantenere economicamente la famiglia, sono il fulcro centrale della società e sono l'anima di ogni conciliazione e di ogni speranza infrantasi nelle elucubrazione politiche di un paese alla deriva che non riesce a costruire più nulla.  

La violenza maschile sulle donne non è una questione privata, ma politica. 
Ecco perché vi chiedo di firmare l’appello di «Ferite a morte» che chiede al Governo e al Parlamento di convocare senza indugi gli Stati Generali contro questa violenza. Servono interventi immediati, è necessario riconoscere l’urgenza e istituire finalmente un Osservatorio Nazionale che segua il fenomeno.
Grazie.
Scrive così Serena Dandini anche lei impegnata attivamente sul fronte della sensibilizzazione con spettacoli e libri, e ora con la petizione del link sopra che mi è appena arrivata e che mi accingo a firmare,io vi invito a divulgarla come anche tutte le notizie di questo articolo, perchè
Le donne sono più consapevoli, questa è la loro nuova rivoluzione, le donne hanno una forza senza paragone e non è vero che non si uniscono, che non sanno costruire ponti... lanciano dei fili lunghissimi fino all'altra parte del mare, fino all'altra parte del mondo e non si rompono al primo alito di vento, resistono alle tempeste e alle mareggiate, s'incontrano, s'intrecciano, si aggrovigliano e tessono una coperta meravigliosa che le avvolge e le protegge dal dolore e dall'incomprensione...Noi donne siamo il fil rouge della continuità, della vita fisica sulla Terra sì, ma anche  della vita animica dell'Umanità nella sua interezza, nel suo potenziale energetico di Ying e Yang, nella  fusione di energie uguali e contrarie, complementari e interdipendenti, essenziali al mantenimento di qualsiasi equilibrio.

 Quindi caro Oliviero Toscani si liberi dei suoi paraocchi, vedrà che poi si sentirà davvero in pace con se stesso e comincerà a vedere la realtà oltre l'apparenza ...forse le si svelerà un mondo sconosciuto... noi invece care amiche e compagne d' avventura 
LIBERiAMOci 
 dai luoghi comuni del rossetto e dei tacchi e usciamo allo scoperto facendo sentire la nostra voce!

Un grazie a tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggermi fino a qui.
Soprattutto agli uomini che hanno tolto i paraocchi
Valentina Meloni


FONTI E ARTICOLI CORRELATI


-Barbara Spinelli, Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, Franco Angeli, 1ª edizione 2008, Milano, pp. 208, ISBN 9788846498458.
-B.Friedan, La mistica della femminilità, ed. Castelvecchi, 2012.

domenica 5 maggio 2013

Legati...a un filo


"C’era una volta la trama e c’era una volta l’ordito di mondi intessuti, c’era un luogo dove tessitori e cantastorie 
davano vita a sogni intrecciati...”



I fili raccontano in molti modi: la vita assomiglia a un filo, il filo si svolge come una storia, la storia personale. Il filo dei ricordi, le emozioni corrono su un filo, il filo annoda relazioni, il filo crea tessuti.
Un filo. Un semplice filo che è anche una metafora, un legame, un giuramento d’amore e fedeltà. Un filo che lega il più nobile dei sentimenti al più terribile: la paura di perdere il proprio amato. Un filo che, come certe promesse d’amore, è molto fragile e può facilmente spezzarsi. Si tratta naturalmente del filo che Arianna, figlia del crudele re di Creta Minosse, consegnò astutamente a Teseo perché portasse a termine con successo la sua impresa: uccidere il Minotauro ed uscire dall’intricato labirinto in cui quel terribile essere era stato rinchiuso. È celebre la leggenda secondo la quale Minosse chiedesse periodicamente agli Ateniesi, sconfitti in un precedente scontro, un prezioso tributo di sangue, sette ragazze e sette ragazzi, per saziare la mostruosa fame di quella bestia. E così, braccato quell’orripilante ibrido nella sua piccola Alkatraz e nutrendolo con il giovane sangue della città rivale, a Creta tutto procedeva perfettamente. Minosse non aveva affatto idea che, un giorno, un giovane eroe destinato a governare su Atene avrebbe vendicato tutte quelle morti e posto fine al supplizio degli Ateniesi uccidendo l’insaziabile e spaventosa creatura.


E c’è di più: come avrebbe potuto immaginare che quell’ennesima ed incredibile fatica sarebbe risultata vittoriosa grazie all’aiuto di sua figlia? Eppure è in questo modo che sarebbe andata a finire: una nave come tante altre che spesso giungevano al porto di quell’isola maledetta non fu che un cavallo di Troia. A bordo, assieme alle vittime sacrificali, vi era infatti nascosto Teseo, eroe dalle nobili e grandiose gesta, figlio di Poseidone ed erede al trono di Atene. Come biasimare Arianna per essersi accesa d’amore per lui? Un amore sottile come un filo, ma tanto forte da liberare Teseo dalla trappola del Minotauro ed un intero popolo da una straziante schiavitù. Fu così che Teseo, rientrando vittorioso in patria, acconsentì a portare Arianna con sé. Ma non per molto: la fanciulla non giunse mai nel regno di Egeo perché quell’ingrato l’abbandonò su un’isola. Il filo, quel patto di amore e vita, era stato spezzato. E con esso, il cuore della sventurata amante che fu, letteralmente, piantata in Nasso. Tuttavia le ruote girano ed anche il futuro re di Atene avrebbe avuto la sua buona dose di gatte da pelare mentre Arianna se la spassava su quell’isola greca chiamata Nasso (Naxòs). Infatti, come narra Ovidio, una volta “piantata” lì, vi mise ben presto radici: tutt’altro che sopraffatta dallo sconforto, si unì alle Menadi di Bacco e ne divenne la sposa, per la gioia degli amanti del lieto fine e di chi, almeno una volta nella vita, è stato “piantato in asso”.

IL FILO E LA TESSITURA
Paula Nichi Humez

La tessitura è stata una delle attività artigianali tra le più antiche che l'uomo ha compiuto per soddisfare la necessità di ripararsi dalle intemperie. Ben presto l'arte del tessere è diventata una metafora riferita alla vita degli uomini, perchè nell’immaginario collettivo degli antichi la trama del tessuto, l'intrecciarsi dei diversi fili, le infinite possibilità di soluzione creativa che la tessitura dava, si identificavano con i percorsi della vita degli individui, dei popoli, dei destini individuali. Spesso la metafora sui fili e la tessitura è stata allacciata al significato del destino dell’uomo. In tal senso la mitologia ci ha regalato le storie piu suggestive.

Si dice che la vita è sospesa ad un filo, che dipendiamo dagli eventi. Ma il verbo di – pendere rimanda all’idea di pendere da un filo
La metafora della vita ci, ti invita a tessere discorsi, come un ragno tesse la sua rete a partire da “fili”. Tra il filo del cucito e quello del pensiero esiste un indiscutibile nesso: uno studio, sullo sfondo metaforico – filosofico della mente che crea il proprio pensiero come un filo, lo intreccia e lo compone come un tessuto, lo taglia e lo cuce come una stoffa.
Si può considerare il testo come tessuto, il tessuto come un testo. Pensiamolo non più come un banale intreccio di fibre su cui viene gettato un po' di colore, ma come la rappresentazione della "tessitura dell’essere".
Nella Grecia antica personaggi come Andromaca, Penelope, Lisistrata, Prassagora, lasciando il telaio e il chiuso delle stanze, testimoniano che la sapienza del lavoro di cura consente alla destinata passivita' dell’esistenza femminile di tradursi in azione nella sfera pubblica. Funzioni e competenze femminili divengono paradigmi su cui modellare ambiti di pertinenza maschili. Dunque puo essere istruttiva la conoscenza derivata dall’esplorazione degli oggetti della vita quotidiana: un gomitolo di lana, una spoletta, un ritaglio di stoffa...



 Il filo rosso ...Perchè proprio rosso? Rosso il colore della passione, del cuore, del sangue. In latino "rubens" (rosso) è sinonimo di colorato. È il primo colore dell'arcobaleno che i neonati imparano a riconoscere, il primo a cui tutti i popoli hanno dato un nome. È il colore del movimento e dell'attività. La luce rossa è infatti quella con un intervallo di lunghezze d'onda più ampio e per tale motivo le sue vibrazioni possono avere un effetto stimolante. Il rosso è il colore che può muoversi più rapidamente trattenendo legato a sè lo sguardo. Il rosso è simbolo del cuore e dell'amore, del dinamismo e della vitalità, della passione e della sensualità, dell'autorità e della fierezza. Il rosso è il colore sia dell'amore romantico, sia di quello dei sensi, è rosso quindi sia un cuore di san Valentino sia un quartiere o un cinema "a luci rosse". È considerato inoltre il colore della seduzione per eccellenza. In Cina il rosso è simbolo di felicità e ricchezza quindi colore portafortuna, per questa ragione è utilizzato per decorazioni e addobbi nuziali.
Il colore rosso è il simbolo buddhista della compassione; l
a sensazione da sconfiggere, nel rosso, è la paura e si sa che l'energia contraria alla paura è l'amore...

Un filo rosso unisce tante donne, è un filo vitale che ci collega tutte a Madre Terra. Questa bellissima poesia traccia le linee di questo viaggio all'interno di un tabù che solo recentemente si sta rompendo grazie alla solidarietà di tante donne consapevoli del proprio corpo e della sua importanza, consapevoli del dolore e delle possibilità, del potere antico di generare vita che è alla base di ogni cultura antica...

**La Linea Rossa**

Nel mio sangue c'è poesia
Nel mio sangue vivono storie antiche
Tu sei lì, mia sorella
La linea rossa segna tutta la strada fino al principio
Ad un filo rosso mi aggrappo per i miei giorni ogni mese
Un percorso rosso che appare sotto i miei piedi
Un rosso eco sento attraverso la mia voce interiore
Il mio flusso è scandito dal ritmo costante di un rullo di tamburo
Che la vita gioca con me
Il rullo di tamburi gioca e risuona nei corpi delle donne
In tutto il pianeta
Il rullo di tamburi del nostro sangue è il battito del cuore della terra
Noi siamo il cuore di Gaia in perfetta sincronia con le maree
Che custodiscono la terra nel loro costante cambiamento
Donna,
Rimuoviamo il velo della vergogna
Siamo antiche
Noi che tracciamo la linea rossa
Noi che teniamo il filo rosso
Siamo il corso del fiume dell'umanità
Sacro come il tempio più alto
Il più sacro dei calici
Il percorso a spirale di nascita e di morte
L'utero è la culla di tutte
Siamo una porta tra i mondi

(Juliaro Arte)

 Seguendo questo filo rosso della femminilità  presto vi presenterò un libro che racconta la storia di tante donne, donne che soffrono di endometriosi, questa malattia semisconosciuta, alle donne ma anche ai medici stessi ancora, visto quanto poco si sa e con quali ritardi arrivano le diagnosi. Impegnandoci alla divulgazione di notizie su questa malattia aiuteremo tante donne a stare meglio, leggiamo e facciamo leggere le storie di tante donne... donne come te e come me...


Il filo sottile che tiene insieme due persone.
- Quale filo?
- Il filo di tutto quello che le tiene legate, anche quando sono lontane. Anche quando non si vedono e non si parlano.
...- Perché dici il filo?
- Perché è una cosa molto sottile e molto resistente, no? Che puoi anche non vedere, ed è estensibile quasi senza limiti attraverso la distanza e il tempo e l’affollamento delle altre persone che occupano lo spazio e lo attraversano in ogni direzione.
Però non è affatto scontato che ci sia, il filo.
- No?
- No. Magari due pensano di essere molto legati, poi appena provano ad allontanarsi scoprono che in realtà stanno benissimo ognuno per conto suo.
- E allora perchè pensavano di essere legati?
- Perchè erano tenuti insieme da una colla di pura abitudine e oggetti e luoghi condivisi e gesti stratificati. E’ una colla così forte da sembrare una saldatura permanente, ma appena uno dei due prova a staccarsi non c’è nessun filo che lo segua.
- Che triste.
- Sì. La maggior parte dei legami sono di questo genere, credo.
- Come fai a sapere che invece il filo c’è?
- Quando provi a romperlo, e ti trovi in caduta libera attraverso il senso delle cose.
- E di cosa è fatto, questo filo?
- Di uno scambio continuo di domande e risposte. Sguardi, anche solo immaginati. Assonanze e intuizioni e sorprese, curiosità reciproca che non si esaurisce. E similitudini, e differenze.

Andrea De Carlo, “Pura vita”



"Con un filo d'oro la vorrei legare a me. 
Poi, come prova d'amore, la vorrei 
per sempre liberare" 
 ~Vivian Lamarque~

In Giappone si dice che ogni persona, quando nasce, porta un filo rosso legato al mignolo della mano sinistra. Seguendo questo filo, si potrà trovare la persona che ne porta l'altra estremità legata al proprio mignolo: essa è la persona cui siamo destinati. Le due persone così unite, prima o poi, nel corso della loro vita, saranno destinate ad incontrarsi, e non importa il tempo che dovrà trascorrere prima che ciò avvenga, o la distanza che le separa, perchè quel filo che le unisce non si spezzerà mai. Certo legare deriva dalla parola latina ligàre che vuol significare unire insieme. Il nodo dunque è simbolo di unione e matrimonio e infatti molti matrimoni ancora si celebrano intrecciando le mani degli sposi durante la cerimonia ne è esempio il matrimonio Celtico, quello Polinesiano, quello Cinese ecc...
Kate Middleton,  Caterina o la Duchessa di Cambridge, e il principe William nel giorno del matrimonio 

DONNA CHE CUCE
Giambattista Marino
È strale, è stral, non ago
quel ch’opra in suo lavoro
nova Aracne d’Amor, colei ch’adoro;
onde, mentre il bel lino orna e trapunge,
di mille punte il cor mi passa e punge.
Misero! E quel sì vago
Sanguigno fil che tira
Tronca, annoda, assottiglia, attorce e gira
La bella man gradita
È il fil de la mia vita.

Mary Cassatt giovane donna che cuce in giardino, 1881
  È una freccia, una freccia, non un ago qualunque/quello che usa nel suo lavoro domestico / la nuova tessitrice d’amore, quella che adoro /per cui, mentre  ricama e lavora sulla  bella tela, / punge e scuote il mio cuore con mille punte. /Ahimè !  E quel rosso filo che tira /taglia, annoda, assottiglia, attorciglia e ritorce / la bella mano che m’attira /è il filo della mia vita. 
 
Nel madrigale l’ago dell’amata ricamatrice diventa uno strale che passa e punge il cuore del poeta; nello stesso tempo il filo sanguigno che essa con tanta perizia tira è lo stame della vita dell’innamorato. Un’immagine domestica diventa , così, occasione per trattare ingegnosamente l’amore e la morte.
 

 Nella casa del poeta Rabindranath Tagore a Jorasanko era vissuta sin dall'età di otto anni, secondo il costume indiano per le spose, Kadambari, la cognata, donna di grande cultura e bellezza. Gli era cresciuta vicino ed era la sua compagna di giochi. Si suicidò quando il poeta, obbedendo all'imposizione del padre, accettò di trasferirsi in un'altra abitazione.Gesto disperato e provocatorio, del tutto incomprensibile per la mentalità e la religiosità induista. Per tutta la vita il poeta porterà il dolore e il rimpianto di questa perdita, sentendosene responsabile.
La moglie Mrnalini, pazientemente gli rimane accanto con semplicità donandogli cinque figli. Muore a ventinove anni. Una serie di lutti da questo momento segna profondamente l'esistenza del grande sognatore: muoiono due figli piccoli, il padre ed il segretario, amato come un famigliare.
Dalla personale esperienza d'amore e di dolore Tagore lascia sgorgare le stupende liriche che hanno nutrito la mente ed il cuore di generazioni di lettori, anche occidentali. In una di queste liriche Tagore menziona il filo rosso, la cordicella rossa che forse li vide legati da fanciulli...


 ***
Quando arrivò il momento
in cui dovevamo salutarci,
come una nuvola che
solennemente scenda,
ebbi solo il tempo di legarti
il polso con una cordicella rossa,
mentre le mie mani tremavano.

Ora, mentre sbocciano i fiori di mahua
siedo da solo nell'erba
e mi vibra dentro una domanda:
«Hai ancora la mia cordicella rossa?»
****

Da dove viene questa usanza? A chi è stato in India sarà capitato spesso di essere avvicinato da uno dei molti pseudo santoni che vivono attorno ai templi o per le strade, e che in cambio di un’offerta in denaro vi praticano una puja, e sovente vi verrà legato un filo rosso al polso, i più fortunati si vedranno applicati sulla fronte un tilak e vi verrà offerta una ghirlanda di petali di fiori. Ma cos’è questo filo rosso?
È costume per gli indù legare un filo di cotone rosso – comunemente chiamato mauli/mouli o kalava , (in sanscrito: कलावा) sul polso all’inizio di una cerimonia religiosa.

La pratica del legare un filo rosso risale nei tempi a quando Vaman Bhagwan legò il suo filo benedetto sul polso del Re Bali per garantirgli l’immortalità. Il significato letterale di mauli è “sopra tutto”. Qui si riferisce alla testa che sta in alto, con la luna appollaiata sulla sommità della testa di Shiva e a lui ci si riferisce come Chandramauli (Shiva secondo la tradizione induista ha più di mille nomi, tra questi Chandramauli “con la luna indossata come gioiello”).
Una particolare occasione in cui viene offerto il mauli è durante il Rakhi Festival, celebrato nel giorno di luna piena Savana che cade tra luglio e agosto. In questa speciale occasione si celebra il legame tra fratelli e sorelle, si vuole riaffermare con forza l’amore, la cura, la protezione, l’ammirazione, il rispetto e il legame di sangue che lega i due fratelli, e proprio per rinnovare questo vincolo che le ragazze legano i mauli ai polsi dei loro fratelli, come simbolo dell’amore che porta sempre con se.

Dall'India torniamo in Giappone dove, come abbiamo già detto, si dice che ogni persona quando nasce porta un filo rosso legato al mignolo della mano sinistra. Seguendo questo filo, si potrà trovare la persona che ne porta l'altra estremità legata al proprio mignolo: essa è la persona cui siamo destinati, il nostro unico e vero amore, la nostra anima gemella.

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Le due persone così unite, prima o poi, nel corso della loro vita, saranno destinate ad incontrarsi, e non importa il tempo che dovrà trascorrere prima che ciò avvenga, o la distanza che le separa, perchè quel filo che le unisce non si spezzerà mai, e nessun evento o azione potrà impedire loro di ritrovarsi, conoscersi, innamorarsi.


 

Nella storia, era noto come visibile in alcuni quadri, che le donne tagliassero il dito mignolo al fine di poter rimanere fedeli ai propri mariti, o era usanza, tagliare nel sonno i mignoli dei propri innamorati per impedirne il tradimento.
In altre versioni invece, era usanza tagliarsi il dito mignolo per liberarsi da "ogni legame".Da dove viene questa tradizione? Viene dalla mitologia cinese, da una storia, un'antica leggenda che ci è stata tramandata.

 Il Dio del Matrimonio e il Filo Rosso del Destino
                         [Tao Tao Liu Sanders "Dei, Draghi e Eroi della Mitologia Cinese" ]

Durante la Dinastia Tang c’era un tale di nome Wei i cui genitori morirono quand’era ancora molto giovane. Una volta diventato grande desiderava ardentemente sposarsi e avere una famiglia, ma purtroppo, per quanto la cercasse, non riusciva a trovare una moglie.
Mentre era in viaggio, giunse un giorno in una città di nome Song, dove trovò alloggio in una locanda. Lì incontrò uno sconosciuto al quale, chiacchierando, espose le proprie difficoltà. L’altro gli disse che la figlia del governatore della città sarebbe stata un buon partito per lui, e si offerse di parlare con il padre della ragazza. Dopodiché i due decisero di rincontrarsi il mattino dopo di buon’ora davanti al tempio vicino alla locanda.
In preda all’ansia, Wei giunse al tempio prima dell’alba, quando la luna era ancora alta in cielo. Sui gradini del tempio, appoggiato con la schiena a un sacco, sedeva un vecchio, intento a leggere un libro alla luce della luna.
Avvicinandosi e data un’occhiata alle pagine da sopra la spalla del vecchio, Wei si accorse di non poterne leggere neppure una parola.
Allora, incuriosito, gli chiese: “Signore, che libro è quello che stai guardando? Fin da bambino ho studiato parecchie lingue e conosco molte scritture, ma mai in vita mia ho visto un libro simile.”
Il vecchio rispose sorridendo: “E’ un libro proveniente dall’Aldilà”.
“Ma se tu vieni da un altro mondo, che ci fai qua?” chiese Wei.
Prima di rispondere il vecchio si guardò attorno, quindi disse: “Ti sei levato molto presto. Di solito non c’è in giro nessuno, tranne quelli come me. Noi dell’Aldilà, incaricati di occuparci delle faccende umane, dobbiamo andare qua e là tra gli uomini, e spesso lo facciamo nella luce crepuscolare dell’alba”
“E di che ti occupi?”
“Dei matrimoni” replicò l’altro.
Allora Wei gli aprì il suo cuore: “Sono solo al mondo fino dall’infanzia, e da molto tempo avrei voluto sposarmi e avere una famiglia. Per dieci anni ho cercato invano una sposa. Adesso spero di sposare la fanciulla del maresciallo. Dimmi, si realizzerà la mia speranza?”
Il vecchio guardò il libro e rispose: “No. Non è la persona a te destinata. In questo momento quella che sarà tua moglie ha solo tre anni, e la sposerai quando ne avrà diciassette.”
Deluso dall’idea di dover aspettare tanto, Wei notò il sacco cui il vecchio si appoggiava e gli chiese cosa contenesse.
Filo rosso per legare i piedi di mariti e mogli. Non lo si può vedere, ma una volta che sono legati non li si puo’ più separare. Sono già legati quando nascono, e non conta la distanza che li separa, né l’accordo delle famiglie, né la posizione sociale: prima o poi si uniranno come marito e moglie. Impossibile tagliare il filo. Sicchè, visto che sei già legato alla tua futura moglie, non c’è niente da fare” rispose il vecchio.
E alla nuova domanda di Wei il vecchio replicò che la futura sposa non viveva lontana da lì, e che era la figlia della vecchia Chen, che aveva un banco sul mercato.
“Posso vederla?”
“Se davvero lo desideri, te la mostrerò, ma ricordati che il tuo futuro non cambierà.”
Ormai l’alba era spuntata e, visto che l’uomo che attendeva non si vedeva, Wei tutto eccitato seguì il vecchio al mercato.
Dietro la bancarella di frutta e verdura stava una povera vecchia cieca da un occhio, con una bambinetta al collo di circa tre anni, tutte e due vestivano di stracci.
“Ecco tua moglie” fece il vecchio indicando la piccina, e Wei replicò in preda alla delusione: “E se io la uccidessi?”
“E’ destinata a portare ricchezze, onori e rispetto alla tua famiglia. Qualsiasi cosa tu faccia, non puoi cambiare il destino” e così dicendo il vecchio scomparve.
Profondamente deluso e incollerito con il messaggero dell’oltretomba, Wei lasciò il mercato con intenzioni omicide. Trovato un coltello e resolo affilato come un rasoio, lo diede al suo servo dicendogli: “Hai sempre eseguito i miei ordini. Adesso va’ a uccidere quella bambina, e io ti compenserò con cento pezzi di rame.”
Il giorno dopo il servo, nascosto il coltello nella manica, andò al mercato e, celato tra la folla, si fece strada fino alla vecchia e alla bambina. Di colpo cavò il coltello, colpì la piccola, si voltò e scappò via, confondendosi con la folla strillante in preda al panico.
“Ci sei riuscito?” gli chiese Wei quando il servo si presentò.
“Ho cercato di colpirla al cuore, ma invece l’ho colpita tra gli occhi”
Il ragazzo ricevette il compenso pattuito e Wei, sollevato all’idea di essere libero di sposare chi volesse, continuò la sua solita vita, e col tempo si scordò dell’intera faccenda.
Tuttavia i suoi tentativi di trovare moglie furono vani, e così trascorsero quattordici anni. A quell’epoca lavorava in una località chiamata Shiangzhou, e le cose gli andavano molto bene, tanto che il suo superiore, il governatore locale, gli offrì in moglie la propria figlia. Così finalmente Wei ebbe una moglie bella e di ottima nascita, una diciassettenne che amava moltissimo.
Non appena la vide Wei notò che la ragazza portava sulla fronte una pezzuola che non si toglieva mai, neppure per lavarsi e dormire. Non le chiede nulla, ma la cosa non cessava di incuriosirlo. Poi, parecchi anni dopo, si ricordò all’improvviso del servo e della bambina al mercato, e decise di chiedere alla moglie la ragione della pezzuola.
Piangendo lei gli rispose: “Non sono la figlia del governatore di Shiangzhou, bensì sua nipote. Un tempo mio padre era il governatore di una città di nome Song, e la morì. Ero ancora piccola quando morirono anche mia madre e mio fratello. Allora la mia governante, la signora Chen, ebbe pietà di me e mi prese con sé. Avevo tre anni quando mi porto con sé al mercato, dove un pazzo mi accoltellò. La cicatrice non è scomparsa, e per questo la copro con una pezzuola. Circa sette od otto anni fa, mio zio ritornò dal Sud e mi prese con sé, per poi maritarmi come se fossi stata sua figlia.”
“La signora Chen era per caso cieca da un occhio?” chiese Wei.
E la moglie stupita: “Sì, ma come lo sai?”
“Sono stato io a cercare di ucciderti” spiegò Wei profondamente commosso “Com’è strano il destino!”
Dopodiché raccontò l’intera storia alla moglie, e adesso che entrambi sapevano tutta la verità, si amarono più di prima.
Più tardi nacque loro un figlio che divenne un alto funzionario, e godettero di una vecchiaia felice e onorata.

l'amore e la libertà... due parole legate da un filo. E sì perchè poi c'è il filo dell'aquilone, quel primo incontro con la libertà e con le cose che ci sfuggono di mano...ma gli aquiloni non sono solo per bambini...

Bambino, se trovi l'aquilone della tua fantasia
legalo con l'intelligenza del cuore.
Vedrai sorgere giardini incantati
e tua madre diventerà una pianta
che ti coprirà con le sue foglie.
Fa delle tue mani due bianche colombe
che portino la pace ovunque
e l'ordine delle cose.
Ma prima di imparare a scrivere
guardati nell'acqua del sentimento


Alda Merini
Aquilone d'amore di Valentina Meloni tecnica mista


Aquilone d’amore

Teneva quel filo
uniti i due cuori,
brillante la carta di fulvi colori,
unite le palme in un tenero abbraccio
danzar le vedevo legate ad un laccio.
Sospese nell’aria,
cullate dal vento:
figura di uomo e di donna,
un incanto.
Aquilone d’amore di carta velina,
stampata ho nel cuore la tua rossa rima;
che il vento ora lasci i due corpi cadere,
ma il filo già sfugge di mano
e le vele …
gonfiate di sogni e dolci parole
trasportano in cielo
quel rosso candore.

(Valentina Meloni)



 
Ancora in Giappone invece è usanza legare bigliettini agli alberi con del filo rosso : su questi biglietti ci sono scritti desideri e preghiere...
In alcuni desideri c'è l'amore forse e forse quel filo rosso ci lega al sogno e a tutto ciò che c'è dentro...

Ma il filo è un legante antico e ogni cultura lo lega a modo suo ...
 La leggenda dei dream-catchers o acchiappasogni e una tra le più belle e suggestive della cultura indiana.
La leggenda secondo i nativi americani narra di una bambina indiana il cui nome era Nuvola Fresca che un giorno raccontò impaurita a sua madre, Ultimo sospiro della sera, i sogni-incubi e le visioni che di notte faceva. Col fiato sospeso, Ultimo sospiro della sera, tentò di riscaldare i tremori della piccola Nuvola Fresca spiegandole che quelli che vedeva si chiamavano SOGNI... ma la piccola voleva vedere soltanto quelli buoni. Allora la madre sicuro che fosse ingiusto chiudere le porte alle paure della figlia pensò a come riconoscere i sogni, e così invento una rete tonda per pescare i sogni del Lago della Notte. Al centro della rete intrecciata mise un piccolo sasso come catalizzatore e intorno ad esso una goccia d'argento, un pezzo di turchese (come significato del desiderio) e un dente di animale forte (simbolo di protezione), infine code di animali e piume di uccelli furono legati all'estremo inferiore della rete.
Finito il lavoro, Ultimo sospiro della sera appese l'acchiappasogni sopra il letto della piccola per pescare per lei i sogni. Se si tratterà di sogni buoni il Dream-Catcher li affiderà al filo di perline (le forze della natura) che li farà avverare, se li giudicherà cattivi li consegnerà alle piume di uccello e li farà portare via disperdendoli nei cieli. E così fu per Nuvola fresca e per tutti i bambini indiani del villaggio.
Ancora oggi, ogni volta che nasce un bambino, gli indiani costruiscono un Dream-Catcher e lo appendono sopra alla sua culla. Gli indiani conservano il loro acchiappasogni per tutta la vita... con gli anni il suo potere si accresce e con esso anche la capacità di proteggere il suo possessore e realizzare i suoi sogni.

Un'altra leggenda indiana invece dice che quando nasce un bambino, gli viene assegnato un filo, su questo filo ogni persona del villaggio infila una perlina, la collana cresce con il bambino e l'accompagna lungo tutta la sua vita e si allunga sempre più di eventi e perline che hanno significati e storie diverse...

Filo di Arianna , filo del discorso, filo della vita, filo di passione, filo d'amore e... morte...

 Ma nell’aldilà
nessuno nessuno ci separerà:
saremo due gocce di pioggia uguali
o saremo due moscerini con le ali
saremo due lumachine lente liete
o due puntini splendenti di stelle comete
saremo due granelli di terra rotondi
o saremo due insettini vagabondi
uno davanti l’altra dietro
cammineremo cammineremo
circumnavigheremo il vetro
della finestra chiusa ma se aperta
via via per l’alto del cielo punteremo
di tanto in tanto Lei si girerà
controllerà che anche io ci sia
ci sarò ci sarò anima mia.

  (Vivian Lamarque) 



In cosa consiste il lavorìo d'amore?
Nel tessere vestiti con fili secreti dal vostro cuore.

 ~Kahlil Gibran~
C'è un filo in tutte le cose...e c'è un filo rosso che unisce tutti i fili...Ho trovato una bellissima poesia illustrata di Susy Zanella che mi è piaciuta moltissimo e che riporto qui

E' un filo che unisce tutto quanto ...


E' un filo che attraversa lo spazio
E' un filo rosso che attraversa la città

E' un filo rosso che ha cresciuto tre cuori
E' un filo rosso che unisce tutto quanto...

Un filo ancora unisce Diego e Gemma che si incontrano, giovani e sprovveduti, a Sarayevo Dopo alcuni anni di vita vissuta insieme cominciano a sentire la mancanza di un figlio che però non arriva. Il destino fa la sua parte e, mentre il ventre di Gemma è vuoto e senza vita, il ventre gonfio della Guerra inizia a mettere al mondo i figli degli stupri, dell’odio e dellla violenza…La guerra è l’odio che partorisce l’amore, la speranza, la vita. Dall’odio infatti nascerà Pietro, il figlio che Gemma ama con tutto il suo cuore anche se non è frutto del proprio corpo ma sempre un filo li unisce quello stesso filo che la lega alla piccola Sebina che sogna di fare l’atleta e che spera di vincere le Olimpiadi. Gemma ama quella bambina che “aveva gli occhi color piombo, le labbra storte come un amo e le orecchie che le uscivano dai capelli” ma erano proprio quelle imperfezioni che la rendevano unica al mondo e bellissima agli occhi di Gemma...
Si erano trovate a metà strada, madre e figlia. Correvano, una saliva, una scendeva, sulla stessa scala, per cercarsi . (…) Si erano mosse, erano uscite dalla scacchiera della vita, senza saperlo. Camminavano trainate dalla corda che le univa.
           
  
 
 Tieni un capo del filo, con l'altro capo in mano io correrò nel mondo. E se dovessi perdermi tu, mammina mia, tira.

  Tirò la morte per loro, tirò più forte (…) in quell’istante si erano raggiunte. 
Madre e figlia. Ventre e frutto.
 (Margaret Mazzantini da "Venuto al mondo")
 
Filo di Arianna , filo del discorso, filo della vita, filo di passione, filo d'amore...Ma noi questo filo vorremmo seguirlo oppure  liberarcene? Ci stanno stretti i legami? Oppure vorremmo esserne accalappiati? Ma se questo filo diventasse un cappio troppo stretto per sentirci liberi?


_AMAR_CORD_  
Mi feci un nodo al cuore per non morire.
(nanoromanzo di Meloni Valentina) 
Ci sono storie infinite che hanno fili talmente lunghi e forti da farci sentire eterni ...Allora il peso di quel filo non ci è d'intralcio e ci rende quasi invulnerabili...

"la storia infinita" dipinto di Gürbüz Dogan



ma quando il gomitolo comincia a farsi pesante come questo... forse dovremmo abbandonarlo,oppure tagliarlo  quel filo e  dire...



LIBERiAMOci