Donne polvere
fotografia di Annalisa Marino |
Parlo e scrivo sempre di alberi ma, stavolta, dico
la verità, vorrei farne a meno… Il mango, Mangifera indica, un albero meraviglioso, il cui frutto è uno
dei miei preferiti, simbolo di un paese dalle molte contraddizioni, il paese di Mahatma
Gandhi, di Osho Rajneesh, di Vandana Shiva e Mātā
Amṛtānandamayī, detta Amma, “la santa che abbraccia” è sulle pagine di tutti i
quotidiani in una foto che ritrae due giovani cugine impiccate ai suoi rami. E pensare che a una nuova varietà di mango, coltivata nel famoso centro di produzione di Malihabad nell'Uttar Pradesh, in India, è stata dato il nome di Nirbhaya, in memoria della ragazza ventitreenne di Delhi brutalmente aggredita e uccisa il 16 dicembre 2012. Il suo produttore, Kaleemullah Khan, ha affermato che questa varietà è il suo modo di onorare il coraggio e lo spirito della giovane fisioterapista assassinata. Sempre il mango però si trova al centro di un’altra tragedia, ai suoi rami lo scorso 29 maggio 2014 cinque uomini hanno impiccato, dopo averle violentate e uccise due cugine di 14 e 15 anni.
Le
chiamerò Indira e Kamala (nomi scelti non a caso) perché non conosco il loro
vero nome… Forse non hanno diritto neppure ad un nome le donne dalit, casta
originata dalla polvere che copriva i piedi di Brahma.
Credo di aver controllato ogni articolo in rete in cerca di queste due
ragazze di 14 e 15 anni, la cui unica colpa è stata quella di appartenere alla casta
degli intoccabili, una casta inferiore, anzi una non casta[1]
e di non possedere un bagno in casa. Sì perché oggi, in India, “andare in bagno”
può costare la vita. Non agli uomini certo, parliamo di donne... Nonostante
l'esistenza di garanzie a livello costituzionale e di leggi speciali, in tutta
l'India i dalit, soprattutto le donne, sono sottoposti a molteplici livelli di
discriminazione e violenza" - ha dichiarato Divya Iyer di Amnesty
International India. "Gli appartenenti alle caste superiori usano la
violenza sessuale contro le donne e le ragazze dalit come strumento politico
per punirle, umiliarle e riaffermare il loro potere".
Donne, loro “razza inferiore,
trattate come animali, “cose di nessuno” da catturare, soggiogare e ammazzare.
[…] Si recano nei campi per fare i propri bisogni all’aperto, all’alba, prima che si sveglino gli
uomini, e al calar della notte, quando occhi di uomini, anche quelli di
famiglia, non le vedano, perché il loro pudore non sia offeso-il pudore degli
uomini. La muta degli uomini che bracca le ragazze mentre vanno vergognose e
spaventate nel loro buio mostra la bestialità degli stupratori e il conto che
fanno delle loro prede, femmine…” scrive A. Sofri su Repubblica. Questo articolo titola così: “Stupri
in India, l’albero della vergogna diventa un simbolo”.
Il mango era già un simbolo, ma era il simbolo di un paese illuminato da
una spiritualità tangibile, oggi invece è il simbolo della barbarie, della più
truce esibizione di superiorità che vede le donne come trofei da esibire in
cima agli alberi. Sono finito in India
perché secondo me l'India è l'origine di tutto, è il punto di partenza di tutto
[...]. L'India è ancora un paese dove il divino è nella quotidianità della
gente, nei gesti [...]. Scrive così Tiziano Terzani in Anam il
Senzanome. Che avrebbe detto, che
avrebbe scritto Tiziano di questa quotidianità divina che vede la donna
immolata come un agnello sacrificale? Una quotidianità che sta diventando un gioco
da ragazzi, come lo ha definito il capo del partito di maggioranza, e un
oltraggio a una terra che noi
occidentali abbiamo forse mitizzato con Siddharta, senza riuscire a coglierne
davvero le contraddizioni e l’incipit di una regressione spirituale senza
tempo. Certo, chi siamo noi per giudicare un paese così lontano dal nostro
vivere? Noi, che siamo ancora appesi ad un retaggio culturale di cui non possiamo
di certo vantarci, che ancora discutiamo sui motivi che portano alcuni uomini a
fare violenza: “non era una buona madre, portava la minigonna, era una poco di
buono, era solo una prostituta” e via dicendo, sono solo alcuni dei luoghi
comuni che insozzano la nostra coscienza lavata in candeggina. Noi che
disprezziamo e ignoriamo il vero significato della parola femminicidio,
credendola una parola di genere, sessista, discriminante per il genere maschile,
senza conoscerne la nascita, la storia, il significato civile e l’origine,
certo, non italiana, ma non per questo meno degna di conoscenza.
Tappiamoci gli occhi in casa nostra che si sa,
l’albero del vicino è sempre più alto e verde, ebbene allora guardiamo cosa
accade in India, nonostante l’inasprimento delle leggi[2], ma non per ripulirci la
coscienza di quel che accade qui, semmai
per prendere coscienza di un incipit di violenza che ci riguarda da
vicino: è di poche ore fa, infatti, la notizia di un altro femminicidio avvenuto
in provincia di Catania.
Baudan, Sitapur, per noi nomi senza una collocazione,
sono i luoghi delle tragedie che si sono consumate in India in questi giorni ma
che si perpetuano da anni: stupri di gruppo, mattanze e sposalizi con bambine.
Quest’ultimo orrore fa parte di un retaggio culturale che non si è fatto
scalfire neppure dall’Onu con la negata firma della risoluzione contro la
pratica delle “spose bambine”[3]. Anzi,
con l’aumentare degli stupri, sposare le donne in
giovane età è stato elevato ad efficace tutela contro gli stupri dai gram
panchayat (una sorta di consiglio del villaggio, l’unità minima
dell’amministrazione pubblica indiana) dello stato dell’Haryana: secondo loro,
infatti, passando dalla cura del padre a quella del marito in tenera età, il
rischio che la ragazza- raggiunta la pubertà- compia azioni giudicate immorali
– come il sesso prematrimoniale – si riduce sensibilmente! Non si discute però
dell’eventualità di una gravidanza precoce col rischio di morte per una
bambina!
E noi restiamo a guardare, perché – diciamolo-
non è che possiamo vantare una grande civiltà nei confronti dell’infanzia
violata (vedi Vaticano, asili e scuole o le stesse famiglie), e quindi la
storia di kamala e Indira dovrebbe far
riflettere quanti si scandalizzano, quanti tacciono e non si indignano in nome
dell’innocenza. Negazionisti, bigotti, benpensanti, giudici e testimoni
corrotti e tutti quanti non credono ai risultati delle perizie che, nelle
vicende di Rignano Flaminio per esempio, senza margini interpretativi, hanno
ricollegato le sintomatologie riscontrate sui minori a traumi di natura
sessuale. Assolti con formula piena tutti gli accusati. Non ho visto né sentito
nessuno indignarsi- a parte certo- i genitori dei bambini. Indignati e
preoccupati, ma anche rabbiosi per giustizia mancata (come spesso accade nel
nostro bel paese) i genitori italiani e i genitori indiani, accanto ai quali
però si schiera l’intera popolazione del villaggio, attorno all’albero di
mango, attorno ai corpi appesi e inanimati,
di due ragazze che per molti resteranno senza nome, come tante altre citate
sempre come “ragazze indiane”, “una donna di 22 anni” ecc… Mi dico che la
scelta di non divulgarne i nomi potrebbe essere stata dettata dal bisogno di
proteggere le famiglie per nulla tutelate dalla legge, ma leggendo le notizie
senza trovare la storia e i nomi di
queste e altre vittime dell’ignoranza più bieca mi è venuto in mente (non so
poi perché… o forse sì?) il passo di “Se questo è un uomo” di Primo Levi in cui
descrive la deportazione degli Ebrei nel campo di concentramento:
“Con la assurda precisione a cui avremmo più tardi
dovuto abituarci, i tedeschi fecero l'appello. Alla fine, - Wieviel Stück? - domandò il
maresciallo; e il caporale salutò di scatto, e rispose che i «pezzi» erano
seicentocinquanta, e che tutto era in ordine;” [4]
Senza nome anche le donne sono condannate ad essere numeri, numeri di
sondaggi e di morte o peggio… pezzi, pezzi di un mondo in rovina, pezzi di una
battuta di caccia, ma anche pezzi rubati alla vita, alla loro vita, che non
potremo più proteggere, conoscere e neppure ricordare!
- Quanti pezzi? –
Le donne non vogliono essere contate eppure lo stiamo facendo, stiamo
contando e ci stanno contando… ancora!
E’ nostro dovere ricordare, ed è nostro dovere riflettere e non ignorare
ciò che sta accadendo, per questo è necessario dare un nome agli eventi, alle
donne, ai femminicidi, alle persone.
Faccio un appello ai giornalisti: date un nome a queste ragazze, non
buttatele nel mucchio delle morti per cui “tanto non si può far nulla”. Le
donne dell’India sono belle, le donne dell’India sono forti, le donne
dell’India chiedono aiuto.
Le
donne dell'India non ti guardano. Camminano intente, recando in capo la brocca,
in mano il cesto, sul fianco il bimbo piccolo, dietro i grandicelli, nel ventre
il prossimo. Non occhieggiano, non civettano, non smorfiano. Il fine della
donna indiana non è l'uomo, è il figlio.[…] scriveva Piero
Scanziani nel suo “Verso l’Oriente”… Certo,
il fine della donna indiana è il figlio, sempre sperando che sia un figlio e
non una figlia...
Indira e kamala- come le ho chiamate- nate dalla polvere e alla polvere
tornate, per me saranno sempre legate allo spirito del mango, con loro tutte le
altre ragazze e donne senza nome, private della dignità, private della vita,
che non posso e non voglio dimenticare, come non posso e non voglio chiudere
gli occhi sulla conta, più o meno silenziosa, che sta avvenendo…ancora.
(Valentina Meloni)
Mangifera Indica
Appese ai rami dell'albero sacro
vi chiamerò Kamala e Indira*
i piedi al vento, nudi e liberati
le vesti dai colori accesi.
Ondeggiate come steli al prato:
fiori recisi in mezzo al campo;
voci negate da una corda-cappio
polvere siete, polvere ritornerete...
Ma, per adesso, state spente e quiete
così, cullate dall'albero di mango,
foglie appassite senza avere sete
figlie di un Dio dai piedi di fango.
Ma perché adesso più non vi svegliate?
(forse cullate da un muto lamento)
Le dita lunghe, abbandonate al pianto
di chi vi cerca e non vi può chiamare...
(Valentina Meloni)
[1] Brahma, l'aspetto creatore di
Dio secondo l'Induismo, creò gli uomini traendoli dalle varie parti del suo
corpo, generando così le caste:
"brahmini": custodi della scienza e
sacerdoti, originati dalla bocca;
"kshatriya": guerrieri e governanti,
originati dalle braccia;
"vaishya": agricoltori, pastori e
commercianti, originati dal ventre;
"shudra": servi, originati dai piedi.
Infine, i dalit, originati dalla polvere che copriva
i suoi piedi.
[2] L'India ha reso più rigide le
sue leggi contro lo stupro lo scorso anno, dopo le proteste scoppiate in tutto
il Paese per il crimine in crescita, che la cultura conservatrice e
l'atteggiamento passivo delle autorità e della polizia non contribuiscono a
contrastare. Secondo i dati, nel Paese di 1,2 miliardi di abitanti avviene uno
stupro ogni 22 minuti. Gli attivisti ritengono però che questa cifra sia
inferiore alla realtà, perché molte vittime non denunciano le violenze subite.
[3] Dopo la cerimonia delle nozze,
le spose bambine dovrebbero tornare nella casa dei genitori fino alla prima
mestruazione, ma i genitori che hanno fretta di disfarsi di loro le consegnano
subito alla famiglia dello sposo.
Rari sono i matrimoni d'amore, sostituiti da quelli combinati dai genitori della ragazza che la cedono a un uomo di 30-40 anni, il quale la prende in sposa che non ha più di 12 anni; a causa della grande differenza di età esse corrono il rischio di rimanere vedove prematuramente, finendo relegate in una casa per vedove.
Rari sono i matrimoni d'amore, sostituiti da quelli combinati dai genitori della ragazza che la cedono a un uomo di 30-40 anni, il quale la prende in sposa che non ha più di 12 anni; a causa della grande differenza di età esse corrono il rischio di rimanere vedove prematuramente, finendo relegate in una casa per vedove.
Con il matrimonio le spose bambine abbandonano la
famiglia e la scuola per andare a vivere con il marito nella capanna dei
suoceri, dove si occupano di tutte le faccende domestiche; il loro compito
principale è mettere al mondo quanti più figli maschi possibile anche se il
loro giovane corpo non è in grado di sopportare il peso di molteplici gravidanze:
così si rischia che la madre non sopravviva al trauma del parto e che anche i
neonati abbiano poche possibilità di vivere. Dopo aver dato alla luce due
o più figli, le ragazze vengono poi spesso abbandonate dal marito che prende
un'altra giovane in sposa. Tuttavia solo cinque bambine su cento hanno il
coraggio di denunciare le violenze subite.
Nessun commento:
Posta un commento