mercoledì 11 giugno 2014

Donne polvere

 Donne polvere

fotografia di Annalisa Marino 

Parlo  e scrivo sempre di alberi ma, stavolta, dico la verità, vorrei farne a meno… Il mango, Mangifera indica,  un albero meraviglioso, il cui frutto è uno dei miei preferiti,  simbolo di un paese  dalle molte contraddizioni, il paese di Mahatma Gandhi, di Osho Rajneesh, di Vandana Shiva  e Mātā Amṛtānandamayī, detta Amma, “la santa che abbraccia” è sulle pagine di tutti i quotidiani in una foto che ritrae due giovani cugine impiccate ai suoi rami. E pensare che a  una nuova varietà di mango, coltivata nel famoso centro di produzione di Malihabad nell'Uttar Pradesh, in India, è stata dato il nome di Nirbhaya, in memoria della ragazza ventitreenne di Delhi brutalmente aggredita e uccisa il 16 dicembre 2012. Il suo produttore, Kaleemullah Khan, ha affermato che questa varietà è il suo modo di onorare il coraggio e lo spirito della giovane fisioterapista assassinata. Sempre il mango però si trova al centro di un’altra tragedia, ai suoi rami lo scorso 29 maggio 2014 cinque uomini hanno impiccato, dopo averle violentate e uccise due cugine di 14 e 15 anni.
Le chiamerò Indira e Kamala (nomi scelti non a caso) perché non conosco il loro vero nome… Forse non hanno diritto neppure ad un nome le donne dalit, casta originata dalla polvere che copriva i piedi di Brahma.
Credo di aver controllato ogni articolo in rete in cerca di queste due ragazze di 14 e 15 anni, la cui unica colpa è stata quella di appartenere alla casta degli intoccabili, una casta inferiore, anzi una non casta[1] e di non possedere un bagno in casa. Sì perché oggi, in India, “andare in bagno” può costare la vita. Non agli uomini certo, parliamo di donne... Nonostante l'esistenza di garanzie a livello costituzionale e di leggi speciali, in tutta l'India i dalit, soprattutto le donne, sono sottoposti a molteplici livelli di discriminazione e violenza" - ha dichiarato Divya Iyer di Amnesty International India. "Gli appartenenti alle caste superiori usano la violenza sessuale contro le donne e le ragazze dalit come strumento politico per punirle, umiliarle e riaffermare il loro potere". 
Donne, loro “razza inferiore, trattate come animali, “cose di nessuno” da catturare, soggiogare e ammazzare. […] Si recano nei campi per fare i propri bisogni all’aperto, all’alba, prima che si sveglino gli uomini, e al calar della notte, quando occhi di uomini, anche quelli di famiglia, non le vedano, perché il loro pudore non sia offeso-il pudore degli uomini. La muta degli uomini che bracca le ragazze mentre vanno vergognose e spaventate nel loro buio mostra la bestialità degli stupratori e il conto che fanno delle loro prede, femmine…” scrive A. Sofri su Repubblica. Questo articolo titola così: “Stupri in India, l’albero della vergogna diventa un simbolo”.
Il mango era già un simbolo, ma era il simbolo di un paese illuminato da una spiritualità tangibile, oggi invece è il simbolo della barbarie, della più truce esibizione di superiorità che vede le donne come trofei da esibire in cima agli alberi. Sono finito in India perché secondo me l'India è l'origine di tutto, è il punto di partenza di tutto [...]. L'India è ancora un paese dove il divino è nella quotidianità della gente, nei gesti [...]. Scrive così Tiziano Terzani in Anam il Senzanome. Che avrebbe detto, che avrebbe scritto Tiziano di questa quotidianità divina che vede la donna immolata come un agnello sacrificale? Una quotidianità che sta diventando un gioco da ragazzi, come lo ha definito il capo del partito di maggioranza, e un oltraggio a una terra che  noi occidentali abbiamo forse mitizzato con Siddharta, senza riuscire a coglierne davvero le contraddizioni e l’incipit di una regressione spirituale senza tempo. Certo, chi siamo noi per giudicare un paese così lontano dal nostro vivere? Noi, che siamo ancora appesi ad un retaggio culturale di cui non possiamo di certo vantarci, che ancora discutiamo sui motivi che portano alcuni uomini a fare violenza: “non era una buona madre, portava la minigonna, era una poco di buono, era solo una prostituta” e via dicendo, sono solo alcuni dei luoghi comuni che insozzano la nostra coscienza lavata in candeggina. Noi che disprezziamo e ignoriamo il vero significato della parola femminicidio, credendola una parola di genere, sessista, discriminante per il genere maschile, senza conoscerne la nascita, la storia, il significato civile e l’origine, certo, non italiana, ma non per questo meno degna di conoscenza.
Tappiamoci gli occhi in casa nostra che si sa, l’albero del vicino è sempre più alto e verde, ebbene allora guardiamo cosa accade in India, nonostante l’inasprimento delle leggi[2], ma non per ripulirci la coscienza di quel che accade qui, semmai  per prendere coscienza di un incipit di violenza che ci riguarda da vicino: è di poche ore fa, infatti, la notizia di un altro femminicidio avvenuto in provincia di Catania.
Baudan, Sitapur, per noi nomi senza una collocazione, sono i luoghi delle tragedie che si sono consumate in India in questi giorni ma che si perpetuano da anni: stupri di gruppo, mattanze e sposalizi con bambine. Quest’ultimo orrore fa parte di un retaggio culturale che non si è fatto scalfire neppure dall’Onu con la negata firma della risoluzione contro la pratica delle “spose bambine”[3]. Anzi, con l’aumentare degli stupri, sposare le donne in giovane età è stato elevato ad efficace tutela contro gli stupri dai gram panchayat (una sorta di consiglio del villaggio, l’unità minima dell’amministrazione pubblica indiana) dello stato dell’Haryana: secondo loro, infatti, passando dalla cura del padre a quella del marito in tenera età, il rischio che la ragazza- raggiunta la pubertà- compia azioni giudicate immorali – come il sesso prematrimoniale – si riduce sensibilmente! Non si discute però dell’eventualità di una gravidanza precoce col rischio di morte per una bambina!
E noi restiamo a guardare, perché – diciamolo- non è che possiamo vantare una grande civiltà nei confronti dell’infanzia violata (vedi Vaticano, asili e scuole o le stesse famiglie), e quindi la storia di kamala e Indira  dovrebbe far riflettere quanti si scandalizzano, quanti tacciono e non si indignano in nome dell’innocenza. Negazionisti, bigotti, benpensanti, giudici e testimoni corrotti e tutti quanti non credono ai risultati delle perizie che, nelle vicende di Rignano Flaminio per esempio, senza margini interpretativi, hanno ricollegato le sintomatologie riscontrate sui minori a traumi di natura sessuale. Assolti con formula piena tutti gli accusati. Non ho visto né sentito nessuno indignarsi- a parte certo- i genitori dei bambini. Indignati e preoccupati, ma anche rabbiosi per giustizia mancata (come spesso accade nel nostro bel paese) i genitori italiani e i genitori indiani, accanto ai quali però si schiera l’intera popolazione del villaggio, attorno all’albero di mango, attorno ai corpi appesi  e inanimati, di due ragazze che per molti resteranno senza nome, come tante altre citate sempre come “ragazze indiane”, “una donna di 22 anni” ecc… Mi dico che la scelta di non divulgarne i nomi potrebbe essere stata dettata dal bisogno di proteggere le famiglie per nulla tutelate dalla legge, ma leggendo le notizie senza trovare la storia  e i nomi di queste e altre vittime dell’ignoranza più bieca mi è venuto in mente (non so poi perché… o forse sì?) il passo di “Se questo è un uomo” di Primo Levi in cui descrive la deportazione degli Ebrei nel campo di concentramento:
“Con la assurda precisione a cui avremmo più tardi dovuto abituarci, i tedeschi fecero l'appello. Alla fine, - Wieviel Stück? - domandò il maresciallo; e il caporale salutò di scatto, e rispose che i «pezzi» erano seicentocinquanta, e che tutto era in ordine;” [4]
Senza nome anche le donne sono condannate ad essere numeri, numeri di sondaggi e di morte o peggio… pezzi, pezzi di un mondo in rovina, pezzi di una battuta di caccia, ma anche pezzi rubati alla vita, alla loro vita, che non potremo più proteggere, conoscere e neppure ricordare!
- Quanti pezzi? – Le donne non vogliono essere contate eppure lo stiamo facendo, stiamo contando e ci stanno contando… ancora!
E’ nostro dovere ricordare, ed è nostro dovere riflettere e non ignorare ciò che sta accadendo, per questo è necessario dare un nome agli eventi, alle donne, ai femminicidi, alle persone.
Faccio un appello ai giornalisti: date un nome a queste ragazze, non buttatele nel mucchio delle morti per cui “tanto non si può far nulla”. Le donne dell’India sono belle, le donne dell’India sono forti, le donne dell’India chiedono aiuto.
Le donne dell'India non ti guardano. Camminano intente, recando in capo la brocca, in mano il cesto, sul fianco il bimbo piccolo, dietro i grandicelli, nel ventre il prossimo. Non occhieggiano, non civettano, non smorfiano. Il fine della donna indiana non è l'uomo, è il figlio.[…] scriveva Piero Scanziani nel suo “Verso l’Oriente”…   Certo, il fine della donna indiana è il figlio, sempre sperando che sia un figlio e non una figlia...
Indira e kamala- come le ho chiamate- nate dalla polvere e alla polvere tornate, per me saranno sempre legate allo spirito del mango, con loro tutte le altre ragazze e donne senza nome, private della dignità, private della vita, che non posso e non voglio dimenticare, come non posso e non voglio chiudere gli occhi sulla conta, più o meno silenziosa, che sta avvenendo…ancora.

(Valentina Meloni)

Mangifera Indica 


Appese ai rami dell'albero sacro 
vi chiamerò Kamala e Indira* 
i piedi al vento, nudi e liberati 
le vesti dai colori accesi. 

Ondeggiate come steli al prato: 
fiori recisi in mezzo al campo; 
voci negate da una corda-cappio 
polvere siete, polvere ritornerete... 

Ma, per adesso, state spente e quiete 
così, cullate dall'albero di mango, 
foglie appassite senza avere sete 
figlie di un Dio dai piedi di fango. 

Ma perché adesso più non vi svegliate? 
(forse cullate da un muto lamento) 
Le dita lunghe, abbandonate al pianto 
di chi vi cerca e non vi può chiamare...

(Valentina Meloni)




[1] Brahma, l'aspetto creatore di Dio secondo l'Induismo, creò gli uomini traendoli dalle varie parti del suo corpo, generando così le caste:
"brahmini": custodi della scienza e sacerdoti, originati dalla bocca;
"kshatriya": guerrieri e governanti, originati dalle braccia;
"vaishya": agricoltori, pastori e commercianti, originati dal ventre;
"shudra": servi, originati dai piedi.
Infine, i dalit, originati dalla polvere che copriva i suoi piedi.
[2] L'India ha reso più rigide le sue leggi contro lo stupro lo scorso anno, dopo le proteste scoppiate in tutto il Paese per il crimine in crescita, che la cultura conservatrice e l'atteggiamento passivo delle autorità e della polizia non contribuiscono a contrastare. Secondo i dati, nel Paese di 1,2 miliardi di abitanti avviene uno stupro ogni 22 minuti. Gli attivisti ritengono però che questa cifra sia inferiore alla realtà, perché molte vittime non denunciano le violenze subite.

[3] Dopo la cerimonia delle nozze, le spose bambine dovrebbero tornare nella casa dei genitori fino alla prima mestruazione, ma i genitori che hanno fretta di disfarsi di loro le consegnano subito alla famiglia dello sposo.
Rari sono i matrimoni d'amore, sostituiti da quelli combinati dai genitori della ragazza che la cedono a  un uomo di 30-40 anni, il quale la prende in sposa che non ha più di 12 anni; a causa della grande differenza di età esse corrono il rischio di rimanere vedove prematuramente, finendo relegate in una casa per vedove.
Con il matrimonio le spose bambine abbandonano la famiglia e la scuola per andare a vivere con il marito nella capanna dei suoceri, dove si occupano di tutte le faccende domestiche; il loro compito principale è mettere al mondo quanti più figli maschi possibile anche se il loro giovane corpo non è in grado di sopportare il peso di molteplici gravidanze: così si rischia che la madre non sopravviva al trauma del parto e che anche i neonati abbiano poche possibilità di vivere. Dopo aver dato alla luce due o più figli, le ragazze vengono poi spesso abbandonate dal marito che prende un'altra giovane in sposa. Tuttavia solo cinque bambine su cento hanno il coraggio di denunciare le violenze subite. 

[4] da “Il viaggio” – Se questo è un uomo – Primo Levi