domenica 27 ottobre 2013

Sempre ad Est


Sempre ad est ...                                                    


Sono affezionata a questo romanzo. Perchè? Perchè questo libro accompagnava in treno il mio amico Massimo la prima volta che l'ho conosciuto quando da Firenze è venuto a trovarmi a Castiglione del lago.
Era Ferragosto di quest'anno e ci siamo seduti ai tavolini del Bar Castello sotto una cornice di  ulivi centenari con il lago Trasimeno a farci da specchio. Abbiamo parlato di noi, dell'avventura dello scrivere, dei nostri progetti e della nostra vita, è stato naturale il nostro incontro e ci siamo trovati nello stesso interesse per la fantascienza, genere purtroppo poco valorizzato in Italia. Quando Massimo ha tirato fuori il suo romanzo, che mi disse aver scritto parecchio tempo prima, mi chiese un giudizio spassionato. Qui però non vi dirò nulla o quasi di ciò che ho poi scritto al mio amico Massimo dopo la lettura tutta d'un fiato del suo romanzo, perché è un "segreto professionale". Scherzi a parte lessi il libro in poche ore, rubate centellinando piccoli momenti ai giorni pieni di impegni, ma la storia incalzava per arrivare al finale (a sorpresa!) ed era scorrevole planare con la fantasia su queste pagine...Avrei potuto leggerlo tutto in una notte come una fiaba delle Mille e una notte se non avessi atteso volutamente per prolungare il piacere della lettura.
In queste pagine ho ritrovato elementi autobiografici nascosti a chi non conosce personalmente l'autore che invece a me sono stati chiari grazie alle nostre conversazioni e scambi avuti in mail o al telefono ed è stato bello ritrovare i pensieri di un amico dentro una piacevole lettura. 

Titolo                                                                                                

La prima cosa che mi ha subito incuriosito è stato il titolo: Sempre ad est. 

L’Oriente, l’Est, è la direzione del Sole nascente, quindi simbolicamente dell’alba, del risveglio, dei nuovi inizi. È il luogo dal quale il Sole ci accoglie ogni mattina, donandoci luce e calore. Questa direzione nel suo significato simbolico porta con sé la chiarezza, la possibilità di vedere, forse anche la preveggenza e esorta la luce interiore a nascere in noi...La copertina del libro fa proprio pensare al terzo occhio e alla preveggenza e quindi ai segnali che dovremmo cogliere per vivere la nostra vita con la nostra personale Essenza.
 Il sole è simbolo di vita, di continua trasformazione e rigenerazione, ci mostra la gioia e la creatività del giallo e dell’oro, l’espansione e l’energia del fuoco e della sua forza. Il sole è elemento attivo di polarità maschile è il principio positivo yang. Anche l’Est quindi è il regno dell’energia maschile, della natura attiva, conoscitiva, capace di inoltrarsi in aree di vita non esplorate per ricavarne nuove idee e metaforicamente per portare avanti sempre il viaggio verso la nostra conoscenza interiore. Il potere dell’Est è quello della luce, dell’illuminazione mentale e spirituale, che rende consapevoli della propria visione interiore e dà così il coraggio di seguire il personale cammino.
Partendo da questo bellissimo titolo che non indica solo una direzione da seguire ma  una vera e propria filosofia di vita che posso ricollegare certamente  al fatto che  Massimo segue il cammino Buddista (non è un caso che il Buddismo si sia sviluppato massimamente in estremo Oriente) ci inoltriamo anche nel viaggio sempre ad est di Hynreck , l'eroe di questo romanzo che, a dirla tutta è un personaggio un po' particolare che non ha le caratteristiche proprie dell'eroe stereotipato che siamo abituati a conoscere.

Incipit                                                                                                 


 "Agli occhi di un surypanta la vita di un uomo deve essere certo un rapido sbatter di ciglia; questo pensava Hynreck quando era in compagnia di Saj. Si era domandato spesso come doveva apparire miseramente breve la sua esistenza dal punto di vista della fantastica creatura. Effimera come un bel sogno di una notte invernale, e magari altrettanto evanescente e irreale. Quale conoscenza poteva, infatti, avere della realtà un essere potenzialmente immortale?" 


L'incipit è, come dice Traversetti, "l'esplosione semantica che genera e avvia il cosmo romanzesco e ci consente di individuarne i caratteri, di intuire panorami e sviluppi futuri" e questo "avviene non appena leggiamo le prime dieci o venti righe".
Vi ho riportato solo le prime otto righe, perchè credo siano sufficienti ad individuare il seme centrale da cui si dipana tutta la storia. Certo voi (e anche io l'ho fatto) vi starete chiedendo ma cos'è un surypanta? 
Come giustamente scrive Lorenzo Spurio nella sua accurata recensione del romanzo che trovate nel suo Blog  letteratura e cultura :

E’ la prima domanda che il lettore del nuovo romanzo di Acciai si fa immergendosi nella lettura. Non ci sono particolareggiate descrizioni di questo tipo di animale, sappiamo che è di piccole dimensioni, che miagola e che trova particolare piacere nell’essere accarezzato sulla testa. Non è un gatto. E’ inutile indagare a quale animale possa avvicinarsi perché stiamo parlando di un romanzo fantastico, quindi in ciascun modo vi figurate questo animale, non avrete sbagliato.

Massimo ci invita ad usare la nostra fantasia, a figurarci il surypanta con la nostra visione stimolata da pochi indizi... Per me il primo indizio è stato il nome. E mi ha subito avvolto nel suo mistero inIziatico. Mi sono messa così a fare delle ricerche e ho trovato qualcosa di molto interessante...


Sūrya per esempio è il dio vedico del Sole rappresentato nell'arte indiana secondo le convenzioni figurative dell'Apollo greco, sfolgorante su un cocchio tirato da veloci cavalli (sette, gli Haritas, o da uno solo, a sette teste, Etasha) guidati dall'auriga Aruna (il “rosso”). Eretto sul suo cocchio, Sūrya tiene nelle mani gli attributi che ne precisano l'identità, cioè fiori di loto e la conchiglia. Tra i suoi appellativi i più comuni sono: Bhāskara, “donatore di luce”, Lokacakṣuh, “occhio del mondo”, e Sāvitri, “Stimolatore” della manifestazione."
Ecco che il prefisso sury potremmo ricollegarlo alla forza Yang del Sole.

Nei Ṛgveda (Inni dei Veda" o "Inni della Conoscenza"), la più antica raccolta degli inni vedici     ( raccolta in sanscrito vedico di testi sacri dei popoli arii che invasero intorno al XX secolo a.C. l'India settentrionale, ) l' Ātman, il Sé, cioè l'essenza, il soffio vitale, di ogni cosa è identificabile nel Sole (Sūrya):
(SA)
« citraṃ devānām ud agād anīkaṃ cakṣur mitrasya varuṇasyāgneḥ āprā dyāvāpṛthivī antarikṣaṃ sūrya ātmā jagatas tasthuṣaś ca »

 (IT)
« Si è alzato il volto luminoso degli Dei, l'occhio di Mitra, di Varuṇa, di Agni, ha colmato il cielo la terra e l'aria: il Sole (Sūrya) è il soffio vitale di ciò che è animato e di ciò che non è animato »
(Ṛgveda I, 115,1)

Trovo meraviglioso poter rivendicare nel termine surypanta questa descrizione anche se non appartiene al Buddismo ma all'Induismo (mi perdonerà Massimo?). Ma se pensiamo all'altro termine che compone il nome surypanta forse ci entra anche il Panteismo. Panta è il πάντα greco che significa Tutto? Io l'ho inteso così. 
E se Panta sta per il tutto, l'Induismo, che secondo Francesco Sferra comprende, in realtà, un insieme variegato di religioni e di visioni del mondo anche contrastanti, ha al suo interno anche una radice panteista. Noi stessi siamo spesso in contrasto con il nostro spirito e Hynreck stesso che sembra essere l'eroe buono e insieme abbastanza sempliciotto, privo delle doti tipiche dell'eroe stereotipato, ha in sè la spinta di fuoco dell'ira e della rabbia che muove il motore interno di azioni e reazioni che lo spingeranno sempre a  proseguire il viaggio.

δαίμων                                                                                               

Pantalaimon (il daimon di Lyra la protagonista del libro di Pullman: La Bussola d'oro)*

Il Surypanta può dunque essere tradotto con " ciò che anima ogni cosa" secondo me e io lo ricollego (ed è stata la prima cosa che mi è venuta in mente leggendo del surypanta) al dàimon socratico. La parola greca δαίμων (leggi dáimōn) oggi tradotta comunemente con demone, non va confusa con l’idea di essere demoniaco che si ha dall’avvento del cristianesimo.
 Di etimologia incerta, il termine δαίμων è forse legato al verbo Δαίωμαi (daiomài), che significa “spartire”, “distribuire”, il termine lascia quindi intendere che il demone è colui che “distribuisce, o assegna, il destino”. Dàimon si traduce e identifica quindi con "spirito", "essere divino", e rappresenta una sorta di angelo custode precristiano.

La più nota  accezione di dàimon che conosciamo, è sicuramente quella che ci è stata tramandata da Platone e Apuleio, appartenente al padre della filosofia occidentale: Socrate.

Socrate non era ateo, ma anzi affermava di credere in una particolare divinità, figlia degli dei tradizionali, che egli chiamava dàimon. Egli si diceva tormentato da questa voce interiore che si faceva sentire non tanto per indicargli come pensare e agire, ma piuttosto per dissuaderlo dal compiere una certa azione. Socrate stesso dice di esser continuamente spinto da questa entità a discutere, confrontarsi, e ricercare la verità morale : 

“ch’ei m’avviene un che divino e demoniaco, come disse nella querela anche Meleto, pigliandosene gioco. Ed è una cotale voce, che, sino da fanciullo, sento io dentro. E tutte le volte che io la sento, mi svolge da quello che son per fare: sospingere, non sospinge mai”
(Apologia XIX).

Questo spirito guida, secondo il filosofo, è in realtà presente in tutti gli uomini, e accompagna ciascuno nel corso della propria vita. Non solo: infatti il dàimon è anche il compagno scelto nell’Ade dall’uomo prima di cominciare la sua esistenza terrena e che, dopo la morte, guida l’anima sino al luogo in cui deve essere giudicata. Dunque, esso si configura come uno spirito guida della coscienza, e si identifica con le forze divine del male o del bene e arriva durante il sonno a consigliare ed illuminare.

Partendo dall'intuizione che un surypanta sia lo spirito che anima la nostra vita possiamo dedurre quindi che il surypanta di nome Saj sia il demone, lo spirito, (l'anima?) del nostro eroe Hynreck. E' interessante notare che in greco la parola eudaimonìa si traduce con felicità, ossia un buon demone, uno spirito buono. Avere in sorte uno spirito buono ci permetterà quindi essere felici.


Passo tratto da : La felicità. Saggio di teoria degli affetti di Salvatore Natoli

I greci non erano i soli ad essere a conoscenza dei dàimon: gli egizi ad esempio credevano in uno spirito, una forza vitale che ci accompagna nella vita, il Ka; i nativi dell’isola di pasqua credevano negli Aku-Aku, spiriti appartenenti ad ognuno, che era possibile vedere e con cui, in casi fortunati, era possibile parlare. Inoltre, i popoli nordici credevano nei Dal’fek, spiriti propri di ogni guerriero, che avevano una forma di animale che meglio esprimeva la loro personalità. I nativi americani invece credevano negli animali totem, animali che condividevano la loro conoscenza e il loro contatto con la natura e con il tutto, con chi fosse riuscito a stabilire un contatto con loro. Nell’Induismo, per esempio, è noto col nome di Atman, l’aspetto individuale di Brahman, o Sé universale.

Saj                                                                           

Prendiamo ora in esame il nome del nostra surypanta (è femmina!). Partiamo come sempre dal nome: Saj.
Benedetto google che ci fa trovare l'impensabile! Tralasciando il Ṣāj (arabo: صاج, ṣāj, pron. «saǧ») che designa il nome libanese usato per indicare un tipo di pane di forma piatta, particolarmente diffuso nella cucina di vari Paesi arabi. 
Prendiamo invece in esame Saj '(in arabo: سجع)  una forma di prosa rimata in letteratura araba. È così chiamato a causa della sua uniformità o monotonia, o da una immaginaria somiglianza tra il suo ritmo e il tubare di una colomba. Si tratta di uno stile altamente artificiale di prosa, caratterizzato da un tipo di ritmo e rima. Saj è usato nella letteratura sacra, comprese le parti del Corano, e nella letteratura secolare, come ad esempio: le Mille e una notte.

Che cosa c'entra direte voi? E no, invece c'entra eccome vi dico io, per due motivi. 
Primo i nostri surypanta sono dotati di una qualità unica che permette loro di emettere un canto quasi paradisiaco. Il narratore ce lo descrive così: 

"Lei(Saj) ricambiava le coccole con sguardi eloquenti e con il suo canto dalla tonalità altissima, ma mai stridula o sgradevole. Era un canto misterioso, ipnotizzante, senza tempo. Il tempo stesso pareva annullarsi quando Saj iniziava il suo canto. Talvolta Hynreck si chiedeva se era un semplice modo per attirare l'attenzione oppure era un canto vero e proprio, con un preciso intento artistico. La domanda era di quelle destinate a rimanere senza risposta".(pag.12)

"Stavolta la porta si aprì, silenziosa come una sera di dicembre sulle rive di un lago. Dall'interno giunse un canto meraviglioso, il più bello che mai avesse udito in vita sua. Era un canto che sembrava provenire da notti infinitamente lontane, quando la terra era ancora giovane, oppure da un futuro inimmaginabile, quando la terra fosse giunta al suo ultimo giro. Era un coro senza tempo e senza spazio. Era il saluto di surypanta  felici di vivere e di essere amati dagli umani"(pag.136)

 Questo canto evocativo è in grado di attirare l'attenzione di chiunque lo senta e non può passare inosservato, come un richiamo d'anima che provenga da ere lontane, il richiamo delle sirene d'Ulisse,  un canto ipnotico che catalizza l'attenzione.
Anche Massimo, come si legge a pag.12 instilla il dubbio in Hynreck che quel canto possa avere un preciso intento artistico e risponde che non lo sapremo mai (come tante altre risposte alle innumerevoli domande che ci si pone durante la lettura della storia). Rimasta insoddisfatta per l'ennesima volta la nostra curiosità non resta che trovare noi, le risposte alle nostre domande attraverso la fantasia. Magari quel canto avrà un preciso intento, magari è la loro lingua, il loro modo di comunicare qualcosa o il loro testo sacro che si tramandano nelle ere della loro eternità di esseri immortali.

  Il secondo motivo per cui riconduco il nome Saj ad una forma letteraria ritmata o ad un canto di un testo sacro è che nella storia ha molta rilevanza Il libro delle formule magicheun libro particolare che permette ai protagonisti di proseguire il viaggio e che ha tutta l'aria di essere un testo sacro da decifrare, scritto da un saggio di un paese lontanissimo molti scoli prima e che contiene le risposte a qualsiasi domanda ... si legge nel racconto. Ed è attraverso la decifrazione di questo libro che è possibile ritrovare Saj e che permetterà ai vari personaggi di condurre a termine quest'avventura.
Massimo cita direttamente nelle note che questo libro si riferisce a I Ching ** il libro cinese degli oracoli ma se dovessimo leggere la storia con la nostra ottica ed esperienza allora forse  potremmo  metterci dentro pure i nostri libri sacri iniziatici come  la Bibbia, Il Corano , Gli inni dei Veda che ho citato più sopra ecc.. 

Secondo me però questa sorta di cantilena/ninna nanna insita nel nome Saj designa la personalità del dàimon/surypanta della storia. La figura di questo stesso animale che a tratti somiglia ad un gattino è fin troppo tranquilla e monotona, non sembra neppure reale ma più che una figura mitologica sembra essere un prolungamento della mente umana una sorta di “cassetto della memoria” di “cassaforte del tempo” mascherato da "peluche". Saj rappresenta l'elemento Yin della narrazione, il lato oscuro, il principio femminile, la notte, il lato dormiente ... e in effetti scoprirete nel corso del romanzo che è proprio così!

"Non svegliare il surypanta che dorme!"


La teoria della ghianda                                                                     


Questo spirito che anima ogni cosa mi fa venire in mente anche la teoria della ghianda di James Hillman .
La teoria della ghianda dice che io e voi e chiunque altro siamo venuti al mondo con un’immagine che ci definisce. E questa forma, questa idea, questa immagine non tollerano eccessive divagazioni. La teoria della ghianda sostiene che ciascuna persona sia portatrice di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di potere essere vissuta. Noi nasciamo con un carattere; che è dato; che è un dono, come nelle fiabe dalle fate madrine al momento della nascita.
Se sei una ghianda non potrai che diventare una quercia, un giorno. Per quanto tu tenti di deviare il corso degli eventi o di forzare la tua natura, il tuo destino è di diventare una quercia. Niente altro che una quercia. E’ il tuo dàimon.
Ciascuno di noi è unico, ciascuno di noi ha un talento, scoprirlo e nutrirlo con l’applicazione è ciò che dà un senso al nostro essere qui e ciò da cui dipende la nostra felicità e il nostro equilibrio. 
La teoria della ghianda e il concetto del dàimon dello psicanalista e filosofo americano James Hillman racchiudono l’accettazione di un mistero, di qualcosa di innato che chiede solo di poter uscire allo scoperto rispettandone tempi e modalità, diverse per ognuno di noi.

Dàimon in greco come abbiamo visto lo traduciamo con  demone. Andando oltre la sua comune accezione, il termine rende l’idea perchè dàimon è ciò che pervade tutto il nostro essere. Si rifà al mito di Er di Platone e Hillman descrive il dàimon come la creatura divina che ci guida nel compimento di quel disegno che la nostra anima si è scelta prima di nascere e di cui ci dimentichiamo al momento in cui veniamo al mondo. Ma la vocazione, la chiamata, resta. E è proprio il dàimon che ci spinge a realizzarla.

Per riconoscere il seme che ci guida bisogna prestare attenzione ai segnali dell’infanzia. A volte sono improvvisi, a volte perfino contraddittori, ma solo in apparenza. A volte il dàimon si rivela all’ improvviso, a volte ti protegge affinchè tu raggiunga l’età in cui sarai in grado di guardare in faccia il tuo destino.
Il modo in cui siamo stati cresciuti, i condizionamenti esterni, gli schemi mentali che ci costruiamo, le necessità del vivere ci soffocano e ci confondono, ma il nostro dàimon è lì per ricordarci che dobbiamo compiere il nostro destino ed è lì a creare le condizioni stesse affinché accada. Facendoci incontrare le persone che dobbiamo incontrare, frapponendo nella nostra vita anche gli ostacoli da superare perché necessari alla nostra evoluzione.

Se realizziamo che esiste la spinta del nostro dàimon, allora si spiegano molte cose...

Hillman sostiene che:
  "Ci sono più cose nella vita di ogni uomo di quante ne ammettano le nostre teorie su di essa. Tutti, presto o tardi, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada. Il paradigma oggi dominante per interpretare le vite umane individuali, e cioè il gioco reciproco tra genetica e ambiente, omette una cosa essenziale: quella particolarità che dentro di noi chiamiamo "me". Se accetto l'idea di essere l'effetto di un impercettibile palleggio tra forze ereditarie e forze sociali, io mi riduco a mero risultato".

Il nostro "compagno", il nostro dàimon ci ricorda il contenuto della nostra immagine, è il portatore del nostro destino. Per approfondire questi concetti vi suggerisco la lettura del libro di James Hillmann "Il codice dell'Anima ".

 Di seguito ve ne lascio un passo ...

Dal racconto platonico del mito di Er , dall'ultimo capitolo della "Repubblica":
"Le anime , che provengono da vite precedenti e soggiornano in una sorta di aldilà , hanno ciascuna un destino da compiere , una parte assegnata (Moira) che corrisponde in un certo senso al carattere di quell'anima . Per esempio l'anima di Aiace Telamonio , il valoroso e irruente guerriero ,scelse la vita di un leone , mentre quella di Atalanta , la vergine famosa per la velocità nella corsa , scelse il destino di un atleta e un'altra anima quello di un abile artigiano. L'anima di Ulisse , memore delle prove e dei travagli patiti e "guarita di ogni ambizione ", andò a lungo in giro alla ricerca di una vita di uomo solitario senza occupazione , e la trovò a stento , gettata in un canto e negletta dagli altri ... 
Quando tutte le anime si erano scelte la vita , secondo che era loro toccato , si presentavano davanti a Lachesi [ lachos , parte , porzione di destino ] . A ciascuno ella dava come compagno il genio          [ dàimon] che quella si era assunto , perchè le facesse da guardiano durante la vita e adempisse il destino da lei scelto . Il daimon conduce l'anima dalla seconda delle personificazioni del destino , Cloto [ klotho , filare , volgere il fuso ]. Sotto la sua mano e il volgere del suo fuso , il destino             [ moira] prescelto è ratificato . ( Gli viene impresso il suo particolare effetto ? ). Quindi il genio [dàimon] conduceva l'anima alla filatura di Atropo [atropos, che non si può volgere all'indietro , irreversibile ]per rendere irreversibile la trama del suo destino .
Di lì senza voltarsi , l'anima passava ai piedi del trono di Necessità ( Ananke ) o , come traducono alcuni , del grembo di Necessità . "

Trama                                                                                                 


Tornando a noi ...sempre Lorenzo Spurio nella sua recensione ci descrive la trama:

Il romanzo non è altro che la storia della ricerca difficile e disperata dei surypanta che sono stati rubati da un potente mago. L’intera narrazione ci informa delle varie peripezie che l’ “eroe” deve sopportare per riappropriarsi ciò che è suo. [...]
Il recente romanzo di Acciai, Sempre ad est, è una narrazione affascinante che ci fa viaggiare attraverso terre intricate ed oscure, ricche di mistero e sulle quali domina la magia nera di un potente mago noto come il Raccoglitore. Per sfidare questo potente wizard che con le sue doti oscure è riuscito a rubare tutti i surypanta della zona ci vengono narrate le gesta di Hynreck che, più che un valoroso guerriero, ci viene presentato come un viandante sfortunato, inetto e particolarmente istintivo, «una di quelle persone che si arrabbiano due volte la seconda per essersi arrabbiati». Nella sua vorticosa ricerca del suo surypanta Saj, Hynreck è accompagnato dal cavallo Frumgar che, diversamente da quanto ci si aspetterebbe, non è un cavallo parlante.

E qui devo ancora fare una piccola digressione perchè (sarà un caso?) Tornando al dio vedico Sūrya, sappiamo che sua moglie Sanjanā, in seguito assunse il nome di Aśvin (giumenta), poiché secondo il mito ella sfuggì al marito prendendo l'aspetto di una cavalla. Sūrya nondimeno scoperse l'inganno e assumendo le fattezze di uno stallone inseguì la moglie con la quale si accoppiò dando vita ai gemelli Aśvin. In questo suo aspetto equino, Sūrya dettò al saggio Yajnavalkya lo Yajurveda bianco (il terzo veda).
Frumgar (nome di tolkieniana memoria il cui significato è « comandante », era il capitano della migrazione verso nord degli Éothéod dalle Valli dell'Anduin, ) come capirete leggendo il libro non è un semplice cavallo ma un compagno e io direi addirittura una parte di personalità del nostro eroe "sfigato" (come lo chiamo ironicamente) che riemerge nella storia in situazione particolari. Andiamo avanti e vediamo cosa accade...

L’impresa particolarmente ardua prenderà una piega diversa nel momento in cui Hynreck incontrerà Sara, una ragazza che è stata appena depredata del suo esemplare di surypanta. L’iniziale divinazione del mago buono Sering e la conoscenza degli oracoli da parte di Sara permetterà alla coppia fortuita di trovare la fortezza dove risiede il potente mago Raccoglitore. Così Hynreck, Sara e Linda, un’altra donna che Hynreck inizialmente credeva implicata nel furto dei surypanta, si imbarcano su una grande nave diretta al piccolo porto di Ladymirail, dall’altra parte dell’oceano vivendo momenti di panico per le condizioni sfavorevoli del mare. Ma la storia non è aliena a colpi di scena: nella tormentata rotta in mare infatti Hynreck crede che il capitano sia il padre del ragazzino che ha precedentemente ucciso per legittima difesa. Così, nella notte i tre fuggono su di una scialuppa approdando all’isola di Falbroth.


 Dopo alterne vicende lo sfortunato trio riesce ad arrivare alla fortezza di metallo nella quale vive il mago Raccoglitore dove seguono una serie di duelli a spada. Inizialmente la sorte è sfavorevole a Hynreck che pure rimane ferito ma poi i tre riescono ad uccidere il potente mago e a mettere in salvo centinaia di surypanta, tra cui quelli loro.


Ecco dove emerge la figura dell'eroe. Hynreck infatti mette in salvo non solo il suo surypanta ma tutti quelli catturati dal mago e facendo questo si identifica in una sorta di salvatore delle anime, di custode dell' Ātman che, come abbiamo vista prima, è il soffio vitale che anima l'universo.

Il romanzo di Massimo Acciai si intreccia in un gioco di fusione in vari generi passando da gesta epiche, a fantasiosi scenari folklorici nordici, ed elementi chiaramente favolistici come scrive Lorenzo Spurio. Ma l'elemento che emerge nel finale è di chiaro stampo fantascientifico e in questo elemento non si può non ritrovare l'anima demonica del lettore- scrittore Massimo Acciai così come io la conosco, un' anima dàimon che  fa viaggiare se stessa attraverso Massimo e i suoi personaggi (a tratti quasi autobiografici) nel multiverso, lungo Il Viaggio infinito verso Est, che è la direzione della conoscenza di sè, un viaggio intrepido verso Queste Oscure Materie del proprio essere (per voler citare la trilogia di Philip Pullman a cui il nostro autore sembra essersi ispirato per questo romanzo) che popolano la nostra mente di domande.
Il finale (di cui non tradirò la sorpresa)  spiazza un poco e ci lascia a bocca aperta perché, quasi all’epilogo, ci eravamo abituati a quel rozzo boscaiolo dell’incipit, Hynreck, che io ho erroneamente interpretato come personaggio principale di tutta la vicenda. Un eroe atipico si legge nella quarta di copertina,e anche io continuavo a pensare a questo eroe un po’troppo rozzo, a tratti "sfigato": fin troppo umano e sempre troppo poco eroe per me, cresciuta a pane e Superman!.
Il finale comunque fa pensare ad una prosecuzione anche del viaggio di Hynreck (forse in un futuro nuovo romanzo?) e allora attendiamo che il suo e il nostro viaggio prenda forma... E intanto noi, alla fine di questa avventura, forse saremo in grado, attraverso il nostro viaggio iniziatico vissuto per mano dell'eroe acciaiano,  di individuare che forma abbia anche il nostro surypanta, il nostro dàimon.

La mia impressione leggendo questa avvincente storia è che le avventure di Hynreck e Saj e tutta la compagnia siano state suggerite a Massimo dal suo surypanta segreto incarnatosi in qualche animale incrociato nell'arco della sua vita… Chissà che nome avrà questo famigerato animale? Anche questo non lo sapremo mai...
Dicevo prima che io ho erroneamente riconosciuto per tutta la durata della narrazione Hynreck come personaggio principale, in realtà però, devo ammettere che il vero personaggio principale del romanzo è Saj, la surypanta coprotagonista compagna di Hynreck,  la quale a dirla tutta se la dorme beatamente per tutto quanto "il tempo del romanzo" e si sveglia solo grazie ad un astuto trucco letterario “Non svegliare il surypanta che dorme”Cosa? Non avete capito niente? Bene! Era proprio questa la mia intenzione! Per saperne di più leggete Sempre ad Est...



Note                                                                                                    

*La Bussola d'oro
Nel mondo di Lyra ognuno ha il suo daimon, che è un essere autonomo e insieme una parte di sé. Per noi, non è che una voce che ogni tanto si fa sentire nella nostra mente; nel mondo di Lyra è un compagno visibile e tangibile, generalmente di sesso opposto al proprio, in forma di animale, che rivela molto della persona di cui fa parte. I daimon dei bambini non hanno ancora una forma fissa, e possono mutare a piacere; più tardi, con la pubertà, quando la personalità comincia a stabilizzarsi, assumono una propria forma, e non cambiano più. Essere umani significa avere un daimon, e un essere umano senza daimon è un orrore quasi inconcepibile; come un uomo senz'anima.

**

L' I Ching (secondo un'altra grafia I King) o "Libro dei Mutamenti" è un testo considerato sacro in Cina, utilizzato da più di 4.500 anni per ottenere un consiglio prima di prendere una decisione.

Nella sua forma originaria, l'I Ching è stato inventato da Fu Shi che per primo utilizzà le linee intere e spezzate per rappresentare le forze polari dell'universo: positiva (YANG) e negativa (YIN).